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Il nodo dei depositi
Marisa Ingrosso
07 Luglio 2019
Nonostante i 3,8 miliardi di soldi pubblici spesi complessivamente dalla Società gestione impianti nucleari (la Sogin è la Spa di Stato che deve smantellare la filiera atomica nazionale e gestire i rifiuti radioattivi; ndr), tra il 2001 e il 2018 «ben poco è stato fatto nelle due situazioni più critiche nel nostro Paese», cioè il bubbone lucano del «Centro di Trisaia» (108 km da Bari, 78 da Taranto) e quello piemontese di Saluggia, e i «ritardi accumulati in questi ambiti sono assolutamente inaccettabili». Lo sostiene lo schema di risoluzione al Senato presentato in Commissione Industria dal presidente e relatore Gianni Girotto (M5S).
I «NODI» LUCANI
Due i «nodi» lucani che allarmano la Politica. Il primo è la mancata solidificazione «del prodotto finito», i liquidi radioattivi zeppi di Uranio, Torio e materiali micidiali, estratti negli anni Settanta in Basilicata, all’Itrec, da 20 delle 84 barre di combustibile irraggiato nel reattore Usa di Elk River. Per la comunità scientifica internazionale è un azzardo tenere quelle sostanze così e infatti la Sogin doveva cementarle. Il relativo impianto doveva essere già bell’e costruito ma, per una serie di intoppi, se ne riparlerà nel 2025.
L’altro «nodo» lucano è proprio quello delle 64 barre di combustibile residue. Grazie ai Wikileaks del controverso Julian Assange sappiamo che, con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio, sono naufragati i tentativi di convincere gli Usa a riprendersele. Oggi, la Commissione spiega che siccome sono pericolosissime e «in Italia non è attualmente presente una tecnologia in grado di ritrattare il materiale fissile Uranio/Torio» di cui sono composte, bisogna riprendere l’iniziativa diplomatica con un’azione «decisa e concertata», per spuntare «un accordo con gli Stati che si rendessero disponibili allo smaltimento».
«CIMITERI» NUCLEARI
Quanto al Deposito Nazionale delle scorie. Come chiarimmo su queste pagine nel maggio 2015, sotto la parola Deposito, singolare maschile, c’è invece un progetto bifronte con due Depositi distinti, uno per i materiali a bassa e media attività e uno per quelli super-pericolosi ad alta attività e lunga vita. La Sogin allora s’affrettò a smentire: il Deposito sarà uno solo, disse. Oggi la X Commissione permanente - riprendendo la relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, dell’ottobre 2015 - nota come non soltanto il decreto legislativo dedicato (31 del 2010) prevede che «il Deposito nazionale debba essere costituito da due parti, poste sul medesimo sito, all’interno di un cosiddetto Parco tecnologico» con «un impianto per lo smaltimento dei rifiuti a bassa e media attività e un impianto per il Deposito temporaneo di lungo periodo (50-100 anni) dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato non riprocessato»; ma anche come la Guida tecnica redatta dagli scienziati di Stato dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale indicherebbe soltanto i criteri di localizzazione del «Deposito di smaltimento dei rifiuti a bassa e media attività (anche il titolo stesso della Guida è al riguardo molto chiaro: Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività) e non menziona in alcun modo l’altra parte del Deposito nazionale, cioè l’impianto per l’alta attività». Tanto che il documento del presidente Girotto impegna il Governo a «verificare prioritariamente la fattibilità di accordi bilaterali» con Paesi Ue ed extra-Ue per smaltire all’estero il materiale più pericoloso, ma anche a chiedere ufficialmente all’Isin se i criteri per la bassa e media attività sono validi pure per smaltire materiali buoni a costruire le bombe atomiche.
SOLDI, SALUTE E TRASPARENZA
La bozza di risoluzione rimarca come «la stima dei costi per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi italiani ha raggiunto i 7,2 miliardi di euro, ovvero 400 milioni in più rispetto ai 6,8 miliardi precedenti. Dal 2001 al 2018, il programma di smantellamento è stato realizzato per circa un terzo delle attività, per un costo di 3,8 miliardi di euro, pari a poco più del 50 per cento del budget. Vanno aggiunti inoltre gli 1,5 miliardi previsti per la realizzazione del Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e il costo di esercizio annuale non ancora stimato. Rispetto alla realizzazione di tale opera, con la determinazione del 9 maggio 2019, n. 47 sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Sogin, la Corte dei Conti segnala che attualmente non è stato ancora definito il sistema regolatorio per il riconoscimento dei costi relativi all’attività del Deposito Nazionale e parco tecnologico. Pertanto anche nel 2017 la copertura finanziaria relativa agli investimenti è stata effettuata mediante autofinanziamento della Sogin».
La Commissione di Girotto impegna poi il Governo ad «assicurare con cadenza periodica la redazione, da parte dell’Istituto superiore di sanità, di un rapporto sullo “Stato di salute della popolazione residente nei Comuni già sedi di impianti nucleari” e ad adeguarsi alle direttive Euratom che ancora languono, inapplicate. E si chiede di garantire più trasparenza. La stessa che si vorrebbe dalla Difesa sul patrimonio radiotossico militare.
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