La guerra del Vietnam dura vent’anni, dal 1955 al 1975, e per un paio di generazioni equivale a un «romanzo di formazione» politico e sentimentale. Al tempo stesso spinge il mondo a una scelta di campo: con i filocomunisti di Hanoi o con i filo-americani di Saigon infine sconfitti. Il Vietnam è una frontiera cruciale nel mondo diviso in blocchi Est-Ovest, ben più della Corea, non foss’altro perché in Vietnam da un certo punto in avanti si consuma la prima guerra «televisiva», un conflitto nel quale i mass media giocano un ruolo di primo piano come «quinta colonna» anti-Washington.
Tuttavia ben pochi ebbero l’animo, il coraggio o, se volete, la spregiudicatezza di recarsi in quel paese asiatico allora remotissimo, per raccontarne la vita quotidiana, la paura e la tenacia. Tra loro vi fu una coppia di cineasti, la documentarista e fotografa pugliese Cecilia Mangini, oggi novantaduenne (è nata a Mola di Bari nel 1927), e suo marito, lo sceneggiatore e regista Lino Del Fra, scomparso nel 1997. Affrontando un viaggio quanto meno avventuroso, i due trascorsero circa quattro mesi a cavallo fra il 1965 e il ‘66 nel Vietnam del Nord in guerra, effettuando i sopralluoghi per un documentario. Dalla frontiera con la Cina fino al confine con il Sud occupato militarmente dalle forze armate statunitensi, Mangini e Del Fra visitano e scandagliano città, porti, rifugi, trincee, risaie... Finché le autorità di Hanoi non li costringono al rimpatrio al pari di tutti gli stranieri nel Paese.
Ebbene, l’indomita Cecilia scattò centinaia di fotografie, un prezioso reportage in gran parte inedito sulla resistenza di un popolo, i cui negativi da allora giacevano in un angolo della sua casa romana. Due scatole dimenticate - Un viaggio in Vietnam s’intitola ora il film che la stessa Mangini firma insieme al leccese Paolo Pisanelli, animatore nel Salento della Festa del Cinema del Reale e da qualche anno impegnato nella maieutica delle memorie della nostra pasionaria e visionaria.
Il documentario dura circa un un’ora, è prodotto da OfficinaVisioni in collaborazione con RaiCinema, e il sostegno di Sardegna Film Commission, e si avvale delle musiche in jazz di Admir Shkurtaj ed Egisto Macchi. Viene proiettato oggi in anteprima all’International Film Festival di Rotterdam alla presenza dei due registi. Due scatole dimenticate racconta l’esperienza vietnamita di Mangini e Del Fra attraverso i clic dell’epoca e la voce narrante dell’autrice. È un «diario ritrovato» molto personale perché si snoda tra ricordi ormai evanescenti e fantasmi che prendono corpo nelle stanze della Mangini, a confronto con gli incubi bellici e gli echi della solidarietà internazionale con il Vietnam, dei cortei studenteschi e delle manifestazioni pacifiste.
Il film è insomma una sfida all’oblio scandita dalle stupefacenti immagini in bianco e nero di oltre mezzo secolo fa. Fotografie in particolare dedicate alle donne vietnamite, «caste guerriere» impegnate con una carabina a sorvegliare i cieli donde piovevano le bombe dello Zio Sam. Cecilia Mangini ribadisce lo sconcerto e il rammarico per il film che all’epoca non riuscirono a realizzare (e dedica questo doc all’amato Lino), ma un lampo le illumina il volto quando chiude il montaggio in primissimo piano: «Però il Vietnam ha vinto la guerra».
Già, il novello Davide sconfisse il Golia yankee, come presagito dall’istantanea di una piccola folla di bambini ai piedi di una pagoda, l’edificio sacro orientale: sono allegri e, nonostante gli orrori, è come se già sapessero che avrebbero vinto. «In Vietnam ebbi una gran paura, ma vidi molte cose che altrimenti non avrei capito», ricorda Cecilia, lo sguardo colto e militante del ‘900 ancora oggi in cerca non della verità, «che non esiste, ma di qualcosa di più profondo, di assolutamente nascosto». In due scatole dimenticate.