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Parigi assediata dai ragazzi con l’età e la vita di Nahel

 
Dorella Cianci

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Dorella Cianci

Parigi assediata dai ragazzi con l’età e la vita di Nahel

Colette e Brigitte d’origini afghane: l’ira nasce dal capitalismo

Lunedì 03 Luglio 2023, 09:56

Le rivolte di Parigi non solo si stanno estendendo ad altre città della Francia, ma hanno raggiunto il centro della capitale, distruggendo, imbrattando, spaventando… Questo è il resoconto, soprattutto da parte delle istituzioni. Il presidente Macron ha inoltre accusato i social media di svolgere un «ruolo considerevole» nell’incoraggiare atti di violenza, suscitando fenomeni di emulazione oltre che di falsificazione dei fatti, come sta accadendo su Twitter. Intanto, mentre si punta il dito - con la solita tronfia polarizzazione e semplificazione di certa politica - verso questa cosiddetta «aggregazione della violenza» (termine usato, in maniera decisamente impropria, da alcune tv locali francesi), incrementata dal passaparola di internet, i quartieri benestanti di Parigi si barricano in casa, ancora una volta allontanandosi dai problemi reali. Le forze dell’ordine cercano di reprimere le proteste, che stanno facendo emergere, agli occhi del mondo, tensioni – a lungo latenti - tra la polizia, i giovani, il governo, le discriminazioni, le lacerazioni delle disuguaglianze sociali, portando, sempre più in superficie, quella tradizionale discrepanza fra il centro e le periferie. Il ministro dell'Interno, Darmanin, ha poi dichiarato che più di 300 poliziotti sono rimasti feriti nel tentativo di sedare la rivolta, nata a seguito della morte dell'adolescente, di origini nordafricane, Nahel. Macron parla di strumentalizzazioni… È evidente, invece, analizzando la complessità del fenomeno, che tutte queste motivazioni – dalla rete al giovane ragazzo ucciso, alla radicalizzazione dell’islamismo nelle cosiddette “banlieue” parigine alle difficoltà economiche - non sono altro che concause, spesso molto apparenti, di ragioni sociali, che non riguardano esclusivamente il denaro o le questioni etniche.

Colette e Brigitte vivono nella zona di nord ovest della capitale, a Clichy-sous-Bois, ma il loro cognome rivela origine lontane: Daulat, genti soprattutto d’Afghanistan e di Pakistan. I loro genitori? Nati e cresciuti in Francia, a Marsiglia; i loro nonni? Di Herat: partiti dopo la fine della guerra civile, nel ‘29. Le due gemelle, di 19 anni, raccontano orgogliose dei loro nonni, del loro cognome, del commercio artigianale della loro famiglia, ma poi precisano: «Siamo orgogliose delle nostre origini e siamo pienamente immerse nella vita francese, coi suoi ritmi e la sua cultura. Eppure non ci sentiamo pienamente parigine o europee. Non siamo viste così: non ci vedono così le nostre scuole, non ci vede così il nostro presidente. Il problema non è l’islamismo, ma non prendere coscienza che le nostre radici non vanno sepolte in una laicità che non ci appartiene. Il problema non è esclusivamente economico – come si sta dicendo in Europa e come state commentando in Italia – ma è un malessere culturale e sociale. Un malessere capitalistico che travalica Parigi». Viene così in mente quanto scritto, per un quotidiano francese, dal sociologo Fabien Truong, professore all'Università di Parigi-VIII. Dai disordini del 2005 agli attentati del gennaio 2015, ha seguito il percorso accademico e biografico di una ventina dei suoi ex liceali a Seine-Saint-Denis, scrivendo Radical Loyalties nel 2017. Precisa Truong: «Sono ragazzi della stessa età di Nahel, i quali reagiscono, in modo intimo e violento, per un semplice motivo: questa morte avrebbe potuto essere la loro. Ogni adolescente, in questi quartieri, ha ricordi di scontri con la polizia. Gli spiacevoli e ripetuti controlli di identità sono umilianti e alimentano, a lungo andare, profondi rancori. Inducono a pensare che la loro presenza non è legittima, che deve essere sempre giustificata. Questa logica del sospetto è quasi metafisica ed esistenziale. Questi giovani dicono a se stessi che sono controllati per quello che sono e non per quello che fanno. Queste esperienze lasciano tracce durature nella vita. Il problema è ben più sfaccettato delle questioni passate legate al solo razzismo, anche se il fenomeno, in parte, ancora esiste».

Che cosa mostra tutto questo se non che la promessa repubblicana non è stata mantenuta? E che cosa suscita questa mancata promessa se non la disaffezione verso le istituzioni francesi da parte di questi immigrati di seconda e terza generazione, ormai cittadini di Parigi a tutti gli effetti? Queste rivolte contro l’antiautoritarismo ci dicono qualcosa di più rispetto al 2005: non c’entra l’islamismo e neanche le ragioni postcoloniali. Il problema è politico e sociale: come fa Macron a tentare di depoliticizzare la questione, senza rendersi conto che, proprio la Francia, così sensibile ai valori democratici, sta dimenticando, fin troppo, le mobilitazioni sociali, che già hanno trovato una chiara espressione nella riforma delle pensioni? Le periferie di Parigi hanno un senso decisamente unico nella ricerca piena dei valori democratici e, oggi, forse per la prima volta, la questione razziale non è preponderante, così come non lo è quella economica. Dalle banlieue c’è una parte di gioventù che non solo chiede attenzione, ma sta cercando di spiegare all’Europa come il neoliberismo stia schiacciando le nuove generazioni, slegate da contesti privilegiati. I cosiddetti “non garantiti”, a Parigi, stanno rispondendo a quel monito, nato proprio in Francia, attraverso le parole di Hessel: “Indignatevi”, in altrettanta sintonia con il saggio di Castel del 2008. Eppure occorre tener presente che, anche quanto analizzato da Robert Castel, ad oggi, va riaggiornato, perché le rivolte di Parigi assumono, in queste ore, contorni nuovi rispetto all’incompiuta urbanizzazione dei cittadini delle periferie, menzionate, anche cinematograficamente, dagli anni Cinquanta in poi fino al film recentissimo di Ladj Ly, Les Miserables. Non dimentichiamo che l’ex partigiano Hessel, a 93 anni, decise di rivolgersi ai giovani di tutta Europa, evidenziando gravi pericoli mondiali per la pace, per la democrazia, per i diritti. Una delle principali imputate era la finanza spregiudicata.

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