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Giurano di salvare il futuro nell’Egitto senza presente

 
Francesca Borri

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Francesca Borri

Giurano di salvare il futuro nell’Egitto senza presente

Non resta nulla della «Primavera araba». Nemmeno Piazza Tahrir

Mercoledì 16 Novembre 2022, 13:30

Ho ancora la sua boccetta di vetro. Era il 2011. Ed eravamo al Cairo. Alaa Abd El-Fattah tolse il tappo, e mi disse: L’aria di piazza Tahrir. L’aria della libertà.

Poi mi disse: Va lasciata così. Aperta.

Ma a quest’ora probabilmente è già morto.

Ha iniziato lo sciopero della fame il 5 aprile. E dal 6 novembre rifiuta anche l’acqua. Con il suo blog, è stato l’icona della Primavera Araba. Ed è in carcere da dieci anni, ormai. Arrestato da chiunque sia stato al potere. Da Mubarak, dai Fratelli Musulmani, dall’esercito. E ora, da al-Sisi. Ha passaporto britannico, oltre che egiziano, ma Rishi Sunak ha chiesto invano una prova di vita. Non ha avuto risposta. I capi di Stato e di governo in questi giorni sono tutti a Sharm el-Sheik per la Cop27 sul clima. Promettono di salvare il mondo: e intanto non sono neppure capaci di salvare un uomo.

Ma questo è l’Egitto. Questo è al-Sisi. Intoccabile.

Quando sono stata fermata all’aeroporto del Cairo, nel 2019, e rispedita indietro in quanto «pericolo per la sicurezza nazionale», non mi sono meravigliata. Ho pagato l’inchiesta Regeni. E comunque, al Cairo siamo stati fermati tutti. Dal New York Times ad al-Jazeera. Ero pronta. Capita, in questo mestiere. Ma quello a cui non ero pronta, era l’Italia. Questa sensazione, mentre ero giù in quello scantinato, che l’Italia fosse non dico dalla parte dell’Egitto: ma certo non dalla mia. La console, quando arrivò, e mi disse che nessuno aveva idea di dove fossi, che non contassi su Amnesty International. Su una mobilitazione. Quando mi disse: Sei sola. Quello che in genere ti dice la polizia. Quando mi disse di firmare una cosa in arabo che non capivo. Quando mi disse che è perché scrivo per Yedioth Ahronoth, per Israele, che è una follia che una legata a Israele stia in Medio Oriente - Israele: che è il primo alleato di al-Sisi, e con l’Egitto ha un trattato di pace dal 1979. Quando rientrai a casa. E trovai messaggi di giornalisti di mezzo mondo: ma non uno da quelli italiani. Non uno.

Perché ti occupi di Egitto, e hai l’inferno.

Sembra un Paese lontano. E così diverso. Eppure, la mia prima volta al Cairo pensai: Ma l’Italia è uguale. Ma perché la Primavera Araba è la storia della mia generazione. Piazza Tahrir chiedeva molto più che democrazia. Chiedeva karama. Dignità. Perché il problema non era solo la politica. Non era solo Mubarak. Il problema era anche l’economia, dominata dall’esercito, e la società, marcia di clientelismo e nepotismo. Ma in fondo, cos’è il sistema del wasta, della raccomandazione, in arabo, quella con cui ti trovi un lavoro, ti salti una lista d’attesa, ti eviti un controllo della Finanza, se non quello che chiamiamo disuguaglianza delle opportunità? Non c’è un solo inviato di guerra nero. L’avete mai notato? Perché il giornalismo, come la diplomazia, come l’università, è uno di quei settori in cui ormai sei sottopagato per anni: il giornalismo è per privilegiati. Ed è sempre più così. Architetti figli di architetti, medici figli di medici.

Persino calciatori figli di calciatori.

Wasta. O come si dice a Napoli: «La conoscenza».

E poi, l’economia. In Egitto, è dell’esercito. Attraverso quattro organizzazioni, istituite perché i militari contribuissero allo sviluppo. Ma da infrastrutture e edilizia, l’esercito è dilagato ovunque. Ha imprese di ogni tipo. E tutto esentasse. Ma quanto è diversa la nostra economia? In Cina, gli operai che assemblano gli iPhone non hanno mezzo diritto. Ma i nostri, invece? Non stiamo più come schiavi alle catene di montaggio, è vero. Ma le sedi alle Cayman, per esempio, l’elusione fiscale: smantella il nostro welfare. Svuota le casse dei nostri Stati. O pensate che chi viola i diritti in Cina poi altrove sia ligio alle regole?

Se non ti importa della vita dei cinesi, non ti importa della vita di nessuno.

Perché ti importa del profitto e basta.

E la democrazia. La politica. Non abbiamo i Mubarak. Gli al-Sisi. Ma quanto potere ha un Parlamento, oggi? Quanto potere reale? Quanta sovranità, in tempi di globalizzazione? Di questioni sempre più transnazionali? E quanto è rappresentativo? Quanto è accessibile? Rishi Sunak è più ricco del Re, ma il record è stato di David Cameron: nel suo governo, erano milionari 18 ministri su 29. Cosa è il potere, cosa è la politica, in un mondo in cui l’uomo più ricco, Elon Musk, è più ricco di più di un quarto dei Paesi?

In Egitto, se fai politica ti arrestano. Ma altrove, sei escluso comunque.

Ed è per questo che la generazione di Tahrir è la mia generazione.

E Alaa Abd el-Fattah anche la mia icona.

Ma sono tutti a Sharm el-Sheikh come se niente fosse. Ambientalisti compresi. Si battono per il futuro: indifferenti a un Paese che non ha l’oggi. Ma in fondo, non hanno mai visto gli Alaa Abd el-Fattah come dei pari. La Primavera Araba qui è sempre stata bollata come una manovra degli americani. Come una cospirazione. O si è temuto che avrebbe ottenuto non la democrazia, ma la Sharia. E quando Mohamed Morsi, il primo, e ultimo, presidente regolarmente eletto della storia dell’Egitto, è stramazzato a terra in tribunale, ed è morto così, per un attacco di cuore, mentre tutti restavano a guardare, la stampa occidentale non gli ha dedicato che due righe.

Quante iniziative per i panda. Nessuna per un islamista.

E comunque, a Sharm el-Sheikh non si discute di clima. Si discute dei risarcimenti per i danni causati dai paesi più industrializzati. Perché l’ambientalismo non è che questo, per molti: una nuova opportunità per battere cassa. Secondo l’ONU, nel 2025 l’Egitto non avrà più acqua. E intanto al-Sisi, nella nuova capitale da 45 miliardi di dollari che ha voluto a est del Cairo, ispirata a Dubai, costruisce fontane nel deserto.

Dei dieci Paesi con le maggiori emissioni di anidride carbonica, 7 sono nel Golfo.

Piazza Tahrir neppure esiste più. In questi anni, tutta l’area è stata oggetto di riqualificazione urbana. E la piazza, sostanzialmente, è sparita. Per evitare manifestazioni.

Ma ora ha un prato, invece dell’asfalto, è bellissima, vero? Così verde.

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