lessico meridionale

Lettore prendila per una preghiera!

Michele Mirabella

Terza domenica di ottobre, a Bitonto si festeggiano i Santi Medici. Le preghiere, quelle sincere, si ripetono di continuo. Dio, comunque, ascolta...

Come ogni fine di settimana, mi dedico a trovare un argomento per il mio appuntamento con i lettori della Gazzetta. «È la terza domenica di ottobre. A Bitonto festeggiamo i Santi Medici». Così aprivo il mio appuntamento sulla Gazzetta dell’anno passato. È perfetto anche per oggi! Del resto, le preghiere, quelle sincere, si ripetono di continuo. Dio, comunque, ascolta. Mi ripeto anche io: lettore prendila per una preghiera!

«Ho scoperto il vero giorno del martirio dei fratelli protocristiani è il 26 settembre». Nicola Pice, studioso, mi spiega narrandomi di locazioni ecclesiali che spinsero i prelati a dislocare la festa dei Santi Cosma e Damiano non nel diesnatalis, ma alla data odierna libera da Santi. Il sacerdote che aveva la responsabilità di allestire la santa processione a Bitonto, ingiunse regole di saggia visione delle cose per liberare il rito della religiosità popolare dagli orpelli della superstizione che rischiano di sconfinare in un paganesimo mondano e fanatico al servizio di «comitive» di ambigua estrazione e discutibile condotta morale che non hanno a che fare con il messaggio di speranza dei miei Santi Medici.

Resiste un sacrosanto folklore: «Evviva a Santo Cosma e Damiano! Biato a quel tesoro che avete in mano». L’oggetto è una capsula dorata che conterrebbe un unguento miracoloso. In verità l’agiografica metafora allude alla potenza taumaturgica dei Santi Medici: quello il tesoro, corredato anche da una penna d’oca. Da bambino, quando scrutavo il saltarello buffo e faticato della processione pensai che la penna d’oca servisse per scrivere le ricette. Così vedevo fare al medico di famiglia dopo le visite in casa di mio nonno nelle premure di una consuetudine affettuosa. Il dottore, dopo essersi lavato le mani e essersele asciugate nel «mannile», l’asciugamano del corredo buono, con una gran stilografica vergava, con circospezione ed eleganza di tratto, la ricetta suggerita dalla perlustrazione clinica. I Santi Medici, in verità, non fanno che ricette simboliche, ammonimenti allegorici e prescrivono solo preghiere al Divino Committente da cui, solo, procede la loro taumaturgia. Ma io, bambino, non potevo avventurarmi in complicazioni delle verità di fede. E anche coloro che con devozione fiduciosa arrancano per far quadrare la melodia e le parole di quella nenia dialettale: «Evviva a Santo Cosma e Damiano! Biato a quel tesoro che avete in mano» non si avventurano in speculazioni teologiche. La processione dei Santi Medici si tiene, oggi, per consuetudine, a Bitonto. Il rito pellegrino, un tempo, era corredato da una moltitudine di corollari gastronomici ed enologici. La tradizione annoverava picaresche mangiate all’aperto di carne arrostita e salsicce a punta di coltello. Il contorno era robustamente assicurato da sedani, sbrigativamente liberati dei bruni residui di terriccio sotto lo zampillo delle fontane e da olive «alla calce» il cui perentorio ricordo saporito vale, per me, le «madeleines» di Proust.

Con i mozziconi di sedano si dava la caccia ai grumi di formaggio «punto» che tergiversavano sul tavolaccio tentando di guadagnare la libertà, sorretti dai minuti vermetti che garantivano un sapore, pare, ineguagliabile. Io pensavo che quel cacio fosse altrettanto pellegrino dei fedeli che recavano grandi ceri accesi prima e dopo le statue, una vestita di rosso e una di verde, cantando le strofe sbilenche. Alcune pie signore camminavano a ritroso, precedendo il corteo, pur di non volgere le spalle ai Santi. L’odore della cera fusa si mescolava coi fumi dell’ecatombe di salsicce e si spargeva per l’aria autunnale un non so che di acre e piacevole, di agreste e domestico, con quel sentore di fascine bruciate. La cera sparsa sulla strada, pensavo con la malizia innocente dei bambini, avrebbe, facilmente, provocato altre richieste di grazia e tutela ai Medici beati, grazie e tutela, diciamo così, ortopediche.

La pia devozione verso Cosma e Damiano discende, in larga parte della cristianità con le effusioni appassionate dai fedeli, da una circostanza interessante: essi furono medici. Medici anargiri. Non si fecero, cioè, mai pagare. Tutte le tradizioni fanno riferimento a «fratelli gemelli e medici» di origine mediorientale. Questi erano in grado di operare prodigiose «guarigioni» e «miracoli» e la loro azione era gratuita, in applicazione del precetto evangelico: «Gratis accepistis, gratis date». Da qui l’appellativo «Anargiri» (dal greco anargyroi, estranei al denaro). Il popolo venera questi Santi con acceso amore e confida in loro prima di arenarsi, stremato, sulla riva della speranza.

Oggi i medici vanno rispettati come santi e pagati come lavoratori. Dopo aver constatato le prodezze dell’amministrazione circa la sanità pubblica e dei politici che non se ne occupano a sufficienza, vorrei che avessero il coraggio di pregare nella processione di oggi: il tesoro nelle mani Cosma e Damiano che è un unguento miracoloso per chi ha fede. Ma non può essere contabilizzato nel bilancio dello stato.

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