Il tasso di fecondità più basso tra le provincie pugliesi tocca a quella di Lecce (1,15) quasi ex aequo con Brindisi (1,14), mentre la palma dei più prolifici tocca alla Bat (1,29) seguita da Foggia (1,24), Bari (1,22), Taranto (1,17). Solo la Bat supera il tasso di fecondità nazionale 1,25 con età media della donna al momento del parto di 32 anni e di 35 per il padre. In provincia di Lecce l’età media alla nascita di un bambino è in linea per le donne (superiore solo di qualche mese), invece i papà hanno un anno in più: 36 piuttosto che i 35 della media nazionale. Se a questo si aggiunge che la forbice nati-morti pende maggiormente verso la mortalità è evidente che la situazione demografica mostra un quadro socialmente preoccupante. Una bilancia che non è stata modificata neppure dalla pandemia che pure ha colpito duramente la popolazione anziana.
Il Sud ha da tempo perso lo scettro del maggior tasso di fecondità che ormai è detenuto dal Nord e in particolare dal Trentino Alto Adige che primeggia con il tasso più alto d’Italia (1,51). In più, sempre il Trentino è ancora la regione con la speranza di vita più alta sia tra gli uomini, sia tra le donne. Dieci anni fa, 2013, la provincia di Lecce fu listata a lutto 15.932 volte. Gli anni ferali della pandemia hanno visto una crescita delle morti e un abbassamento delle aspettative di vita: nel 2020 le morti sono state 18.142, nel 2021 il rialzo a 19.570 mentre nei primi sei mesi di quest’anno sono state 4.700, fortunatamente inferiori allo stesso periodo del 2022 quando ne sono state registrate 5.056 a fronte delle 19.656 dell’intero anno.
Il recente aggiornamento Istat delle Statistiche sperimentali relative alla demografia nei comuni mostra una previsione, da qui al 2031, certo non rosea per il Salento. Se 10 anni fa le nascite erano 6.276, già in netto calo rispetto al 1999 (anno di partenza del report Istat) quando erano 7.478, nel 2021 sono state 4.821 con una stima al 2031 di 4.569 nuovi nati. Il confronto con le morti è impietoso: nel 2031 morirà più del doppio (9.146) dei nati. Una tendenza nazionale, ma qui al Sud e nel Salento nello specifico assai marcata. Una tendenza che pone la politica dinnanzi a sfide molto complesse in quanto l’invecchiamento della popolazione alza la domanda di salute e svuota gli istituti scolastici. Sono mancate politiche a favore della famiglia e della natalità ed per un riequilibrio demografico che gli esperti suggeriscono di favorire l’immigrazione, soluzione difficilmente percorribile con la destra al governo da sempre contraria all’arrivo di immigrati giustificata da ragioni di sicurezza pubblica e tutela della razza. Il risultato è quello di un sistema pensionistico difficile da sostenere, di classi sempre più vuote, di posti di lavoro vacanti (specie in agricoltura) per mancanza di manodopera.
In più, per quel che riguarda la provincia di Lecce e il Sud in generale, l’aumento della prospettiva di vita che si è registrato al Nord e al Centro non si è verificato anche nel Mezzogiorno. Stando ai dati Istat più recenti «la speranza di vita alla nascita nel 2022 è stimata in 80,5 anni per gli uomini e in 84,8 anni per le donne, solo per i primi si evidenzia, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. Per le donne, invece, il valore della speranza di vita alla nascita rimane invariato rispetto all’anno precedente. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora sotto quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di 6 mesi inferiori nei confronti del 2019, sia tra gli uomini che tra le donne». Secondo Istat al dato sfavorevole per le donne contribuisce la rinuncia alle cure sanitarie: «Sebbene il rallentamento della speranza di vita delle donne rispetto agli uomini costituisca un processo ravvisabile già in anni precedenti la pandemia, quest’ultima può aver acuito il trend. L’impatto della crisi sul sistema sanitario, e la conseguente difficoltà nella programmazione di visite e controlli medici, potrebbero esser state particolarmente forti per le donne, più inclini degli uomini a fare prevenzione. Ad esempio, dai dati dell’indagine “Aspetti della vita quotidiana” risulta che tra il 2019 e il 2021 la percentuale di donne che ha dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie sia aumentata di 5 punti percentuali (dal 7,5% al 12,7%), per gli uomini tale aumento è stato invece di 4 punti percentuali (dal 5% al 9,2%). Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 80,9 anni per gli uomini e di 85,2 per le donne; i primi recuperano circa un mese rispetto all’anno precedente al contrario delle donne che invece lo perdono. Il Trentino-Alto Adige è ancora la regione con la speranza di vita più alta sia tra gli uomini sia tra le donne, il Friuli-Venezia Giulia è invece la regione che ha registrato il maggior guadagno rispetto all’anno precedente, circa sei mesi per entrambi i sessi. Il Centro è l’unica area per cui si registrano incrementi di sopravvivenza in tutte le regioni, anche se lievi, rispetto al 2021: per gli uomini l’incremento è dello 0,2, mentre per le donne dello 0,1. La speranza di vita più alta tra gli uomini si annota in Toscana (81,3), per le donne nelle Marche (85,4). Anche il Mezzogiorno nel complesso fa registrare gli stessi incrementi del Centro, ma al suo interno ha una situazione più eterogenea. Si passa da regioni come Molise (solo per gli uomini) e Puglia, dove i guadagni rispetto all’anno precedente sono intorno ai 6 mesi di vita, alla Sardegna, dove la forte mortalità ha fatto sì che si sia perso circa mezzo anno di vita per entrambi i sessi».