LECCE - Simona Filoni, procuratore presso il Tribunale dei minori, oggi assistiamo ad una recrudescenza di crimini contro le donne. Come vive la ricorrenza dell’8 marzo e che significato le dà?
«Stiamo vivendo un momento molto particolare, la pandemia ha comportato profondi cambiamenti nei rapporti familiari e interpersonali. Purtroppo abbiamo assistito ad una crescita esponenziale delle violenze domestiche: a soffrire di più sono proprio le donne, vittime di violenza fisica, sessuale, economica, psicologica. Vittime di un’esasperazione dei rapporti tale da renderle destinatarie di condotte violente perchè ritenute una “res”, un oggetto. Noi abbiamo il dovere di fare qualcosa per contrastare questo fenomeno. Bisogna coinvolgere tutti i soggetti preposti affinchè le donne non si sentano isolate e agire tempestivamente con indagini rapide e capillari, in modo da non esporle a situazioni di ulteriore pericolo e da consentire un ritorno alla normalità quanto più velocemente possibile. Anche perché quando le vittime arrivano a denunciare spesso sono già molto provate. Per non parlare di una serie di problemi collaterali che rendono tutto più complicato: difficoltà economiche e lavorative, il timore dei giudizi della gente, i sensi di colpa, le incertezze sul futuro. Per questo ritengo che sia necessario creare una rete, per non lasciarle più sole nel percorso di recupero e affinchè vengano assistite dal momento della denuncia fino alla conclusione del processo. Dunque coinvolgere le forze dell’ordine, la magistratura, i medici che prestano le prime cure, i centri antiviolenza, le associazioni, le fondazioni non governative e i servizi del territorio. Finchè ci sarà una donna uccisa per mano di un uomo non si potrà festeggiare, è giusto invece parlare di un momento di riflessione».
Alla luce della sua esperienza, ritiene che l’educazione delle nuove generazioni sia ancora condizionata al maschilismo che spinge certi uomini e considerare la donna cosa propria?
«Non credo ci sia una forma di maschilismo, perché oggi assistiamo ad un rapporto che si basa sulla parità di genere. Ma attenzione: il maschilismo non c’è perché non si ha pienamente coscienza del significato di questa parola. Quando ad esempio un rapporto sentimentale tra giovanissimi finisce matura un desiderio di vendetta. Le ritorsioni nei confronti delle ragazze non costituiscono espressione di una prevaricazione di genere ma di un desiderio di punizione. Mi riferisco, nello specifico, al fenomeno del revenge porn. Questi comportamenti vengono assunti con leggerezza, perché non c’è consapevolezza della gravità del danno che ne deriva, del reato che si compie, del limite che deriva dal rispetto della libertà dell’altro. Spesso ci sono ragazze che si adeguano a determinate condotte, sconfinando nella volgarità sia per quanto riguarda il linguaggio che la gestualità. E di conseguenza non mettono i paletti e non consentono al ragazzo di comprendere la natura del rapporto che li lega. Tutto ciò è dovuto alla profonda crisi dei valori che stiamo attraversando. Una crisi del sistema famiglia e di tutte le agenzie preposte all’educazione e alla formazione dei giovani. Le ragazze che non rispettano se stesse non potranno essere rispettate. A far da sfondo a tutto questo ci sono una grande sfiducia nel futuro, vuoti affettivi, solitudine, assenza di obiettivi e di aspettative. C’è tanta incapacità di amare: oggi i ragazzi non sanno dire “ti amo”. Ritengo quindi che il maschilismo a conti fatti venga messo in pratica, ma non se ne comprende appieno il significato».
Negli ultimi tempi abbiamo assistito a questo allarmante fenomeno dell’emula - zione di pratiche estreme sui social. Secondo Lei cosa si può fare concretamente per porre un freno a questo meccanismo perverso?
«Questi comportamenti sono la conseguenza della voglia di affermarsi, di provare emozioni forti, quasi di voler vivere una vita parallela, credendosi “immortali”. C’è un abuso dello strumento digitale: sui social manca una dimensione adatta ai minori, che quindi accedono liberamente a qualsiasi tipo di contenuti, inclusi quelli più pericolosi. A ciò si affianca anche l’incapacità dei genitori di seguire i propri figli nell’utilizzo dei social o la poca dedizione alla cura degli stessi. Ci vorrebbe una vera e propria educazione digitale, con il coinvolgimento delle famiglie e della scuola, dei servizi sociali, delle amministrazioni comunali, della neuropsichiatria infantile: tanti minori, a causa della pandemia, hanno avuto conseguenze gravissime. I ragazzi devono tornare a vivere la realtà, quella vera e non virtuale. Devono tornare ad affollare le piazze, a fare sport, a parlarsi, devono recuperare la loro socialità e la loro dimensione di ragazze e ragazzi di questa epoca. E poi leggere, sviluppare amore per la cultura.
Perché è da qui che bisogna ripartire per creare un futuro». Che cosa significa oggi essere una donna magistrato, in termini di rinunce e sacrifici?
«Ho il privilegio di svolgere il lavoro che ho sempre sognato, al netto delle rinunce, e che interpreto come una missione. Il lavoro è sempre stato ed è al primo posto nella mia vita. Certo, cerco per quanto possibile di coniugare gli impegni professionali e quelli personali. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre supportata. Non bisogna mai portare a casa le preoccupazioni lavorative, ma per un investigatore questo è impossibile. Questa professione richiede tanti sacrifici. Non mi vergogno a dire che per un caso particolarmente delicato di cui mi sono occupata non ho dormito bene per due anni. Se rifarei la scelta che ho fatto? Assolutamente sì».
Davanti a crimini orrendi ai danni di donne o bambini, come si fa a coniugare la naturale sensibilità di un animo femminile con il distacco e la lucidità che impone il suo ruolo?
«Con gli anni si diventa più maturi, si crea una corazza. Nella mia carriera posso affermare di aver visto e toccato da vicino l’orrore: violenze di ogni genere, pedofilia, pedopornografia, crimini atroci commessi persino nei confronti di neonati e lattanti. Bisogna necessariamente trovare un equilibrio fra le emozioni e il senso del dovere. Qualcuno deve necessariamente occuparsi di questi casi. Quando ero a Bari mi è capitato di sfogliare il fascicolo fotografico dell’autopsia dell’omicidio di una lattantina di tre mesi. In quel preciso momento mi scesero le lacrime, che non riuscii a trattenere. Poi ho alzato gli occhi. Con me nella stanza c’erano i carabinieri: non solo investigatori ma anche mariti, padri, uomini. Piangevano con me, in silenzio. E il silenzio di quel momento ci ha reso più determinati ad andare avanti per la ricerca della verità. Dove prendo la mia forza? Dall’abbraccio delle vittime, o di chi è sopravvissuto. Ma anche dalla lettura di ogni dispositivo che sancisca la responsabilità di coloro che commettono i reati. Sono queste le soddisfazioni più grandi per noi magistrati, quelle che ci danno la forza di andare avanti e di annientare la stanchezza e i sacrifici che ogni giorno affrontiamo per far sì che la giustizia e la verità trionfino sempre».
Chi è stata la donna di riferimento nella sua vita personale?
«Mia madre, ovviamente, che mi è sempre stata accanto così come mio padre. Mi ha insegnato l’onestà, l’umiltà, l’educazione, il rispetto verso se stessi che non deve mancare mai, e quello verso il prossimo. E ancora il fatto di non dover dipendere da nessuno, di non dimenticare mai chi siamo e il punto dal quale siamo partiti. Sarò sempre grata ai miei genitori di avermi dato la possibilità di studiare e di diventare quella che sono».
In questa giornata quale messaggio vuole rivolgere alle donne, magari a quelle che stanno soffrendo?
«Le donne sono esseri meravigliosi, sono le creature più belle dell’universo. Devono continuare a lottare e a non arrendersi, non devono sentirsi in colpa perché non lo sono. Ci sono le Istituzioni, le associazioni e tante persone per bene disposte ad aiutarvi. A tutte le donne che stanno conducendo una battaglia dico di combattere, di non mollare».
Un pensiero per le ragazze di oggi, future donne di domani?
«A loro dico: guardate dentro di voi e trovate quella parola che si chiama rispetto. Rispettate voi stesse, solo così sarete rispettate, non bisogna buttarsi via. Non omologatevi, la vera bellezza consiste nella diversità, nel riscoprire la gioia delle piccole cose, che ci fanno battere il cuore. Amate la vita, credete nella forza dei sogni e la vita stessa vi ripagherà».