di OSCAR IARUSSI
Silenzio. Se potessimo, scriveremmo solo una parola: silenzio. Ma è impossibile, purtroppo, perché il lutto entra nel tritacarne dei mass media e della politica, e addirittura alimenta la polemica, lo scontro e l’hashtag bellicoso. La questione è sottile e sofferta lungo i crinali dell’etica e del diritto: la legalizzazione dell’eutanasia. Difficile che riesca a risolversi nelle pieghe e nei furori della cronaca. «Ogni morte è differente dall’altra», ha ricordato con il consueto nitore Beppino Englaro, il papà di Eluana, la ragazza cui nel 2009 fu sospesa la nutrizione artificiale.
D’altro canto c’è il sentore del martirio laico nella vicenda di Dj Fabo, all’anagrafe Fabiano Antoniani, il quarantenne milanese morto ieri in una clinica svizzera tramite una procedura di suicidio assistito, vietata in Italia. «Dj Fabo ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale: era molto in ansia perché temeva, non vedendo il pulsante perché cieco, di non riuscirci. Poi però ha anche scherzato». A raccontare gli ultimi momenti è Marco Cappato dell’associazione «Coscioni», che ha accompagnato Antoniani nell’ultimo viaggio e che teoricamente sarebbe incriminabile per il reato di aiuto al suicidio, rischiando fino a dodici anni di carcere.
«Fabo è morto alle 11,40, ha scelto di andarsene rispettando le regole di un paese che non è il suo», ha scritto lo stesso Cappato sul suo profilo Facebook e su Twitter. Una frase immediatamente rilanciata da decine di migliaia di persone sui social network. Sono incandescenti le passioni e le emozioni suscitate dalle «cose ultime»: la vita, la morte, il discernimento, la scelta. In questo caso, il desiderio di «uscire dalla gabbia» del giovane musicista innamorato dell’India, dove aveva trascorso lunghi periodi. Tornato in Italia, era rimasto vittima di un incidente stradale il 13 giugno 2014, in seguito al quale aveva perso la vista e l’uso delle gambe e delle braccia. Al suo fianco da quella maledetta notte fino alla clinica di Zurigo dal nome amaro di «Dignitas», ci sono stati i genitori, l’amatissima fidanzata Valeria e alcuni amici.
«Non prendetemi per scemo ma devo chiedervi un favore: mettete sempre le cinture. Non potete farmi un favore più grande». Sono le parole che Dj Fabo ha rivolto ai tre amici che lo hanno scortato nella clinica oltralpina della «dolce morte». Il giovane, ha raccontato ancora Cappato, «ha pronunciato queste parole da solo, senza aiuti». E nei giorni scorsi aveva lanciato sui social un appello al presidente Sergio Mattarella, chiedendo che l’Italia finalmente legiferi sulla possibilità di morire «a casa propria». Una richiesta rimasta senza risposta.
«Un Cristo che non abbiamo saputo riconoscere»: Roberto Saviano ricorda Dj Fabo col suo tono solenne e aggiunge che «non solo per lavorare con dignità bisogna emigrare dall’Italia, ma anche per morire con dignità». Ma è proprio la tradizione cattolica del Paese ad aver finora rallentato la regolamentazione dell’eutanasia. C’è infatti all’opera un sentimento diffuso che considera la vita umana appannaggio non esclusivo dei singoli, perché sempre «nelle mani di Dio». E c’è il timore, riconosciuto anche da parte di alcuni laici, che l’eutanasia possa aprire la strada a una «cultura dello scarto» a danno dei più deboli. Così la chiama monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, paventando fra le righe il concretarsi dei fantasmi che già hanno funestato il XX secolo (l’eugenetica nazista). Sono preoccupazioni non da poco e che sentiamo dettate da un sentimento di pietas, altrimenti in declino nel mondo contemporaneo.
Tuttavia essere costretti a morire in esilio è davvero intollerabile. «La vicenda di Dj Fabo impone con urgenza una riflessione sull’eutanasia legale». Questa la posizione della Fondazione Veronesi, che parla di una scelta «eticamente lecita», citando in merito il parere del Comitato Etico di cui faceva parte il professor Umberto Veronesi, scomparso lo scorso 8 novembre. Tale Comitato, si legge in una nota, «reputa che, in una democrazia liberale caratterizzata da un pluralismo etico strutturale, in determinate circostanze e a determinate condizioni sia eticamente lecito chiedere di porre fine anticipatamente alle proprie sofferenze con dignità e poter aiutare i pazienti a farlo».
Condividiamo. Lasciateci non aggiungere altro, se non un addio a Fabo, al suo sorriso «un po’ ribelle» di prima, al suo coraggio del poi.