«Nel caso di un grave incidente marittimo in Adriatico, per contenere le perdite di carburante o petrolio e salvare le coste piene di lidi, ristoranti, paesi e città, è stato calcolato che ci sarebbero a disposizione soltanto due ore. Dopodiché i veleni toccherebbero o una sponda o l’altra, in base a variabili quali le correnti, i venti. Ecco perché è necessario che tutti e sei i Paesi costieri uniscano le forze e creino un meccanismo di intervento rapido congiunto». Il dott. Vinko Bandelj è responsabile scientifico del progetto intergovernativo Asap, un acrostico che richiama il britannico l’«as soon as possible», cioè «il prima possibile», ma che, in realtà, sta per «Meccanismo di protezione delle aree sensibili dell’Adriatico». Si tratta di un progetto, cofinanziato dall’Unione europea, che terminerà nel 2027 (si veda box in questa pagina; ndr).
L’oceanografo auspica che un incidente non accada mai, ma la storia recente insegna. Basti ricordare il caso UND Adriyatik la nave turca andata a fuoco il 6 febbraio 2008, al largo delle coste dell’Istria, con tutto il suo carico di 220 automobili. E, nel 2013, la nave chimichiera Nazo S, battente bandiera turca, che prese fuoco al largo di Civitanova lasciando una eredità di macchie oleose su quelle rive. L’anno dopo, fu il turno della Norman Atlantic, il traghetto tra Igoumenitsa (Grecia) ed Ancona, che prese fuoco nel Canale d’Otranto il 28 dicembre 2014, causando 31 morti, 19 dispersi e 64 feriti. E, ancora, la nave AF Francesca che nel dicembre 2024 è entrata in collisione con altri traghetti nel porto di Durazzo a causa del maltempo, e nel maggio 2015 ebbe un principio di incendio nella sala macchine mentre era in navigazione da Bari a Durazzo, rientrando poi nel capoluogo pugliese con l’aiuto di un rimorchiatore.
Bandelj è ricercatore senior dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste che è il perno degli studi attualmente in corso. Spiega che l’Asap è una sorta di “ampliamento” del progetto Namir, anch’esso cofinanziato dall’Ue, che mirava a creare un sistema di risposta agli incidenti marittimi ma solo nell’Adriatico settentrionale. «Entrambi i progetti sono guidati dall’Iniziativa Centro-Europea (Cei) che è un organismo intergovernativo che riunisce tutti i Paesi del centro Europa, ha sede a Trieste e ha come sua missione di favorire la collaborazione tra questi Paesi e l’integrazione tra i Paesi membri dell’Ue e quelli che sono in trattativa per diventarlo, come l’Albania per esempio. Il punto è - continua l’oceanografo - prepararsi al caso di incidente in mare di tali dimensioni che un Paese solo non possa gestirlo. Questo è molto importante, soprattutto per l’Adriatico perché, come si intuisce, è un mare molto lungo, molto stretto e con coste abitate da milioni di persone che traggono sostentamento dal mare o da attività ad esso legate. Qualsiasi disastro in mare avrebbe ripercussioni molto grandi sull’economia, sulla società ma anche sulle spiagge, sugli organismi marini e così via. Noi auspichiamo che non succeda mai, ovviamente. In Adriatico gli standard per il trasporto navale sono molto elevati e non metto in dubbio che vengano, in gran parte, rispettati e fatti rispettare, ma un incidente può sempre capitare e bisogna essere preparati e questo è l’obiettivo. Stiamo lavorando con partner da tutti e sei i Paesi dell’Adriatico e il nostro obiettivo è una migliore preparazione delle strutture di intervento, un migliore coordinamento e favorire lo scambio delle risorse e l’aiuto reciproco. Non è necessario, infatti, che ogni Paese si compri tutta l’attrezzatura e abbia tutte le navi e tutto il personale, ma con gli altri Paesi si può contribuire tutti per proteggere il nostro mare dalle minacce».
Gli scienziati stanno quindi preparando «una proposta di piano di contingenza» che sperano e auspicano «sarà firmato da tutti e sei i Paesi con una lettera di intenti che preveda la nascita di un organismo che si occupi di far funzionare questo sistema». Bandelj sottolinea come «il terminal transalpino di Trieste è il terminal petrolifero più importante del Mediterraneo», ma ci sono altri terminal che punteggiano l’Adriatico e «le petroliere e tutto ciò che entra dal Canale di Otranto attraversa l’Adriatico... Il rischio c’è, esiste, e dobbiamo essere preparati. Noi con Ogs abbiamo valutato il rischio ambientale e individuato le aree dove le conseguenze sarebbero più gravi, in base alle caratteristiche della costa e sulle attività che vi sono e sulle aree protette che vi sono». I luoghi a maggior rischio sarebbero solo a nord? «No - conclude - sono in quelle zone in cui si intersecano le rotte delle navi e tutte quelle in cui le navi sono alla fonda prima di entrare in porto».