«Il tormento di Ratzinger era un’umanità senza Dio». Con grandissima sensibilità e generosità d’animo, il card. Francesco Monterisi risponde alla Gazzetta malgrado il momento di profondo dolore. Lui, primo e finora unico cardinale barlettano, era legatissimo a Benedetto XVI, il Pontefice che, tra l’altro, lo ha elevato al rango cardinalizio.
Eminenza, «chi» era quest’uomo che ha cambiato la Storia della Chiesa?
«Innanzitutto ho avuto la grazia di conoscerlo. Il primo contatto risale proprio ai miei primi anni di lavoro per la Santa Sede, già negli anni Settanta. Poi, nel 1998, mi fu dato l’incarico di segretario del Collegio Cardinalizio, cioè il gruppo dei cardinali a cui presiede sempre un decano che guida, e nel 2000 ebbi come decano proprio il cardinale Ratzinger, il quale guidò il Collegio, con grande maestria. Il mio rapporto personale è stato caratterizzato, da parte del cardinale stesso, da un affetto pieno di rispetto».
«Qualcuno - dice il cardinale Monterisi - ha trovato che lui sarebbe stato timido. Magari dinanzi alle grandi folle, ma nei rapporti con le persone… Diciamo che era tanto umile e disponibile che sì appariva quasi timido. Io ho cercato di avvicinarlo con sentimenti aperti e ho visto che, come dire, i primi due o tre incontri erano un po’ freddi, ma poi l’ho sentito veramente come un padre. Mi ha sempre dato del lei sul lavoro, sia per il Collegio Cardinalizio sia perché eravamo anche in contatto per essere membri del gruppo di cardinali e vescovi che badano alle candidature per le nomine vescovili. Dunque un grande rispetto che poteva apparire timidezza e invece era attenzione all’altro. In seguito ha mostrato un affetto veramente paterno nei miei riguardi».
«Ricordo che un Natale, intorno al 2005, stavo male, proprio male. Ebbene mi arrivò a Barletta una cartolina spontanea, natalizia, dal card. Ratzinger. Lui aveva aggiunto due o tre paroline che mi commuovono ancora oggi…».
(Il card. Monterisi si interrompe. Si schiarisce la voce quasi a voler allontanare l’emozione).
Cosa le scrisse?
«Mi spingeva ad andare avanti e con parole affettuosissime. Un altro evento che mi colpì molto fu questo. Quando si elegge un Papa c’è la tradizione che i cardinali che lo hanno eletto facciano atto di obbedienza, proprio subito dopo. Quando lui fu eletto Papa, io c’ero e tutti si accodavano. Io ero segretario del Collegio, ero nel Conclave senza partecipare e arrivai anch’io al nuovo Papa per portargli la mia obbedienza e i saluti e fargli le congratulazioni e lui, quando mi stavo sollevando, mi disse: “Porti il mio saluto a monsignor tal de tali”. Questo era un piccolo monsignore nel mio ufficio, direi segretario del segretario, che aveva aiutato qualche volta a fare dei testi per il cardinale decano. Ora immagini questo cardinale che aveva appena ricevuto tra capo e collo il gran peso di essere Papa e, in quel momento, si ricordava del piccolo monsignore che gli voleva bene certo, ma chi avrebbe mai detto di portargli il suo saluto…».
(Il cardinale Monterisi si interrompe, la sua voce è rotta dalla commozione. Dopo poco riprende il filo del discorso).
«Ho avuto la fortuna di essere con lui per la presentazione di un documento che riguardava le Conferenze Episcopali di tutto il mondo e mi diede uno spazio, mi diede modo di parlare e l’uditorio era vasto. Tanta stima… certamente affetto… non so se la stima era altrettanto, ma l’affetto era grande. E io avevo per lui una grande venerazione. Una volta feci una piccola obiezione a certe sue posizioni e lui mi spiegò punto per punto perché era arrivato a quella conclusione. Era un problema relativo ai pedofili negli Stati Uniti e lui aveva preso la posizione “tolleranza zero”. È stato colui che ha poi guidato tutto il pontificato su questa linea molto dura. Dopo, da Papa mi fece un gesto che non faceva a tutti. Ero il numero due di questo dicastero per i vescovi e una volta toccò a me andare dal papa Ratzinger a presentare le candidature (perché è sempre il Papa che decide per ogni vescovo del mondo). Lui mi fece trovare un fotografo apposta per me, per lasciarmi un ricordo ufficiale di quell’evento. E poi mi donò tre foto: una di quando arrivai e baciai la mano, la seconda mentre sfogliavamo i documenti e, infine, uno accanto all’altro con la mano nella mano. Questi sono i miei ricordi adesso… spero rendano l’idea. Non so se posso entrare nelle cose dottrinali che aveva sottolineato».
Ma certo eminenza.
«Lui l’ha detto anche nel suo testamento che la cosa che lo tormenta, che lo tormentava, è che vedeva la secolarizzazione della società. Questo andare avanti degli uomini come se Dio non esistesse. Essere senza Dio e sempre più fuori dalla preghiera, dalla Chiesa, dal Cristo, questo era il suo tormento e faceva di tutto per sviluppare nella Chiesa questo senso di Dio e questa forza per andare avanti a predicare. Naturalmente aveva una enorme comprensione della situazione culturale. Il suo ufficio, come capo del Santo Uffizio, non era quello di condannare, ma di comprendere. Studiava la società contemporanea e quindi libri non solo di teologia ma di cultura generale, romanzi eccetera, era aggiornatissimo, come si sa, sulla cultura contemporanea. Ecco io direi queste cose da un punto di vista personale e dall’altro posso assicurare che mai ho temuto che ci fossero cose che non avrei potuto accettare del suo insegnamento. È stato papa Ratzinger a nominarmi cardinale, figurarsi se non sono legato a lui. E altrettanto affetto ho per papa Francesco, che ho conosciuto quando era a Buenos Aires e tuttora mi mostra la sua vicinanza. Pensi che mi ha mandato gli auguri per il 40esimo anniversario dalla mia ordinazione. Ora cercherò di ringraziarlo».