CORONAVIRUS - Per la prima volta in Europa è stato fotografato il virus all'interno di una cellula renale. La scoperta arriva dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo, dal cuore dell’emergenza italiana del Covid-19. I ricercatori sono riusciti a individuare il Covid nel rene in un campione proveniente da un’autopsia eseguita su un paziente morto all’ospedale Papa Giovanni XXIII, che dal 1979 collabora con l’Istituto.
«La scoperta è molto importante perché ci consente di avanzare nello studio di una cura che vada oltre il focus dei polmoni - spiega il professor Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri - Bisogna capire che la causa della morte non è solo l'insufficienza respiratoria ma in moltissimi casi è l'insufficienza renale. La dinamica è riportata anche sul recente numero della rivista Science». Nei laboratori sono stati riconosciuti i meccanismi che si attivano quando il sistema immunitario tenta di reagire al Coronavirus, che per le sue caratteristiche provoca una risposta eccessiva che porta alle difficili polmoniti. «Siamo riusciti a capire che queste polmoniti dipendono da altri meccanismi secondari attivati dal sistema immune: uno di questi meccanismi si chiama «sistema del complemento», continua Remuzzi sulla scoperta del Covid nel rene.
Il sistema del complemento dovrebbe difenderci dalle infezioni ma con il Coronavirus impazzisce e diventa nostro nemico. «Così abbiamo provato a usare su malati Covid farmaci già presenti sul mercato che inibiscono l’attivazione del complemento - racconta il direttore sulla scoperta del Covid nel rene - Buone risposte stanno arrivando dall’Eculizumab, che normalmente usiamo per una malattia rara che provoca un’alterazione genetica che era fatale nei bambini, morivano quasi tutti entro 6 anni dalla diagnosi».
I risultati sulla scoperta del Covid nel rene sono ancora materia di ricerca ma le impressioni sono molto positive. Un ottimismo che accompagna anche un’altra terapia inedita elaborata dalla collaborazione Negri-Papa Giovanni: l’infusione di anticorpi di pazienti guariti dal Coronavirus in malati gravissimi intubati in terapia intensiva. Una tecnica messa a punto dal reparto di Nefrologia diretto da Piero Luigi Ruggenenti, da non confondersi con l’infusione di plasma eseguita in altre strutture italiane. «La nostra idea - conclude Remuzzi - è che nelle fasi iniziali della malattia possa essere meglio l’uso del farmaco inibitore del complemento ma in quella più avanzata siano più efficaci gli anticorpi».