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Fidanzati uccisi a Pordenone
ergastolo per l'imputato

 
Flavio Campanella

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Flavio Campanella

Coppia uccisa Pordenone arrestato Giosuè Ruotolo

Giovedì 09 Novembre 2017, 10:44

10:55

UDINE - Testa china e occhi lucidi. Giosuè Ruotolo, l’ex militare di 28 anni di Somma Vesuviana (Napoli), ha ascoltato in piedi, in silenzio, al fianco dei suo avvocati, la lettura della sentenza con la quale la Corte d’assise di Udine lo ha condannato al carcere a vita. E’ lui, per i giudici friulani, il responsabile del duplice omicidio della coppia di fidanzati Trifone Ragone e Teresa Costanza, uccisi a colpi di pistola la sera del 17 marzo 2015, all’interno della loro Suzuki Alto, nel parcheggio del palazzetto dello Sport di Pordenone.

Sei colpi sparati a distanza ravvicinata dal killer che ha prima diretto l’arma contro il militare di Adelfia (Bari), 28 anni, mentre si stava sedendo sul sedile lato passeggero, e poi contro la sua fidanzata, 30 anni, assicuratrice milanese di origini siciliane, una laurea alla Bocconi in tasca, trasferitasi in Friuli per amore di Trifone.

La Corte é arrivata al verdetto nel pomeriggio, dopo una camera di consiglio cominciata intorno alle 14.30 di lunedì e durata oltre due giorni, nella quale ha rimesso in fila la mole di documenti, indizi e testimonianze raccolte in 45 udienze dibattimentali.

«Ergastolo con isolamento diurno per due anni», come aveva chiesto, al termine di undici ore di requisitoria, il 20 ottobre scorso, il pm Pier Umberto Vallerin che subito dopo la pronuncia ha espresso «un senso di soddisfazione professionale per il lavoro svolto» dalla Procura e dai Carabinieri di Pordenone. «Ma non di soddisfazione umana - ha subito precisato, ricordando che si tratta solo del primo grado di giudizio - Non possiamo essere felici per una sentenza che vede condannato all’ergastolo un ragazzo di neanche 30 anni per delitti che riguardano due persone offese praticamente coetanee. Ruotolo non va assolutamente «mostrificato"».

«Ho provato pena per lui - ha detto Eleonora Ferrante, la mamma di Trifone - Prima della lettura della sentenza avevo chiesto a Dio di darmi la forza di perdonarlo. Il Signore mi ha accontentato, mi ha fatto perdonare. Ero certa che avesse ucciso Trifone e Teresa ma non provavo più odio. Ora siamo tranquilli perché è stata fatta giustizia umana ed è molto importante».
«Abbiamo avuto giustizia ma nostra figlia non tornerà mai. Non avremo mai pace. Un ergastolo non potrà mai lenire il nostro dolore. Ma almeno sappiamo quello che è successo. E un assassino è in carcere», hanno detto con un filo di voce anche i genitori di Teresa, papà Rosario e mamma Carmelina, che sente «sempre vicina» la sua Teresa.

La Corte, che ha disposto la pubblicazione per estratto della sentenza mediante affissione nei comuni di Udine, Pordenone e Somma Vesuviana, ha condannato Giosuè Ruotolo al risarcimento danni, riconoscendo provvisionali per oltre 700 mila euro complessivi ai familiari costituiti parte civile. Una somma di 100 mila euro ciascuno ai genitori dei due ragazzi, 60 mila euro per la sorella minore di Trifone e 50 mila ciascuno per gli altri quattro fratelli di Teresa e Trifone, 30 mila euro per la nonna del militare pugliese e 15 mila per le sue due zie.

«La disperazione di una persona che si è sempre proclamata innocente, ma che è consapevole che in questo momento bisogna combattere per far emergere una verità che è alternativa rispetto a quella indicata dalla Corte d’Assise di Udine». E’ l’avvocato Roberto Rigoni Stern, uno dei difensori di Giosuè Ruotolo, a testimoniare lo stato d’animo del giovane di Somma Vesuviana (Napoli), condannato ieri all’ergastolo per il duplice omicidio dell’ex coinquilino e commilitone Trifone Ragone, il militare di Adelfia (Bari) e della sua fidanzata Teresa Costanza, assicuratrice milanese trasferitasi in Friuli per amore di Ragone.
Per due giorni Ruotolo aveva atteso la decisione della Corte con la «speranza di uscire da fatti di questo tipo - racconta il legale - laddove si parla di un omicidio indiziario e laddove gli elementi in possesso della Corte non erano così dirimenti, a nostro avviso, da pronunciare una condanna netta, soprattutto per quanto riguarda il movente».

I legali della difesa, che in questi giorni torneranno a trovare il proprio assistito in carcere, si dicono «curiosi di leggere i motivi di questa sentenza perché nel corso di questi mesi abbiamo posto all’attenzione della Corte tante problematiche che hanno indotto a una riflessione la Corte stessa, prova ne sia che si è ritirata per ben due giorni in camera di consiglio e non è una cosa abituale».

Scontato che, una volta lette le motivazioni, la difesa proporrà appello «nella consapevolezza - conclude Rigoni Stern - che l’ultima parola verrà detta dalla Corte di Cassazione».

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