BARI - Nella Asl di Foggia c’è un signore, lo chiameremo il Farmacista, cui spetta l’ingrato compito di occuparsi della distruzione degli stupefacenti. Sono quei medicinali che i grossisti e le farmacie, pubbliche o private, non possono più vendere in quanto scaduti. Morfina, ketamina, fentanil, prodotti a base di cannabis, barbiturici, benzodiazepine, steroidi anabolizzanti: ogni volta che se ne accumulano 100 chili, devono essere bruciati in un inceneritore della provincia di Lecce. Al Farmacista spetterebbe, per legge, una apposita scorta delle forze dell’ordine (gli spacciatori, come noto, non badano alla data di scadenza), ma nessuno gliela dà perché lo Stato non ha soldi. E così, costretto a difendersi da solo, l’uomo aveva chiesto alla Prefettura di Foggia il porto d’armi: che, dopo diversi anni, nel 2016 glielo ha negato.
È una storia di burocrazia, un distillato di burocrazia. Ed è toccato al Tar di Bari metterci le mani e risolverla. Dopo aver già concesso la sospensiva, qualche giorno fa i giudici amministrativi (seconda sezione, presidente Serlenga) hanno restituito il porto d’armi al Farmacista, non senza sottolineare «la grave anomalia della situazione».
Per la Prefettura, infatti, il Farmacista «non ha bisogno di andare armato», perché altrimenti - la burocrazia! - non si tratterebbe di difesa personale, ma di una attività di scorta. E comunque, secondo l’ufficio territoriale del governo, i farmaci scaduti, in quanto scaduti, sarebbero «inattivi»: circostanza che il Tar non ha considerato corretta. I carabinieri, invece, erano di parere opposto: esiste un «pericolo» per chi è incaricato di svolgere un servizio pubblico come quello di distruggere gli stupefacenti scaduti. Un pericolo che la legge prevede, demandando però alle forze dell’ordine di farsene carico. Ma siccome non ci sono soldi, le scorte non si fanno e il Farmacista deve farsi 400 km andata e ritorno con la sua macchina. Sperando di non dover mai usare quella pistola.
m.s.