BARI - La Finanza l’ha definita la «rete di spionaggio interno», un sistema che – per l’accusa – consentiva ad esempio a Gianluca Jacobini di «monitorare «minuto per minuto» gli spostamenti e le richieste fatte dagli ispettori della Banca d’Italia nel 2016. All’epoca era stato aperto un gruppo Whatsapp chiamato, non senza ironia, «One against all» (uno contro tutti), che è stato fondamentale nel convincere la Procura di Bari a chiedere il nuovo arresto per l’ex condirettore generale, accusato di concorso in bancarotta fraudolenta: le persone che facevano parte di quella chat – scrive la Finanza - sono ancora dipendenti della PopBari e continuano a rivestire ruoli strategici anche dopo il commissariamento.
È infatti anche grazie ai fedelissimi se la famiglia Jacobini, secondo le carte dei pm, ha potuto continuare a gestire la banca, rimanendo aggiornata anche dopo la formale uscita di scena del presidente Marco Jacobini.
Il suo collaboratore più stretto, il responsabile della segreteria generale Silvio Scolozzi, è stato licenziato a novembre 2019, ma gravierebbe nell’orbita dell’ex patron. Un rapporto tanto stretto che Scolozzi, convocato dai pm, ha smentito l’esistenza di rapporti privilegiati tra gli Jacobini e le aziende dell’imprenditore Vito Fusillo che sono al centro dell’inchiesta bis sulla Popolare di Bari: e per questo Scolozzi è ora indagato per favoreggiamento e false informazioni al pm. Nello scorso febbraio, Scolozzi ha consegnato nella filiale della banca di Cassano cinque distinte di bonifici da 149mila euro ciascuna firmate dalla moglie di Marco Jacobini (era ai domiciliari), su un conto cointestato ai coniugi: l’operazione è stata segnalata dall’Antiriciclaggio di Bankitalia. Per questo il procuratore aggiunto Roberto Rossi e il pm Lamberto Marazia hanno disposto il sequestro del suo cellulare e l’acquisizione dei tabulati telefonici.
Domani Gianluca Jacobini potrà fornire la sua versione dei fatti davanti al gip Luigia Lambriola che la scorsa settimana ne ha disposto gli arresti domiciliari insieme all’ex capo dei crediti, Nicola Loperfido, all’imprenditore Giacomo Fusillo (figlio di Vito) e ad altre tre persone. Mercoledì dovrebbe poi toccare a Loperfido e a Marco Jacobini, quest’ultimo colpito da interdizione come Vito Fusillo, che ha ammesso gran parte degli addebiti e ha chiesto di poter patteggiare. Oltre alle accuse di concorso in bancarotta, per alcune delle persone coinvolte ci sono anche quelle di riciclaggio: la Procura ritiene che lo svuotamento di Fimco e Maiora, le società di Vito Fusillo fallite con un buco da 340 milioni, sia stato funzionale anche ad operazioni di arricchimento personale. Un esempio è la vendita della Cni, un’azienda informatica molto nota nel mondo della pubblica amministrazione (ha appalti con numerosi Comuni tra cui quello di Bari) che fattura una decina di milioni l’anno e che sarebbe stata svenduta a quattro milioni e mezzo pagabili in comode rate trentennali senza interessi. In questo modo Giacomo Fusillo, figlio di Vito, avrebbe potuto intascare un profitto di un milione e 200mila euro.
Oggi la PopBari è passata nelle mani del Mediocredito Centrale, una società pubblica. Ma le vicende legate alla gestione dei crediti con Vito Fusillo avranno una lunga coda. Esattamente un anno fa, a fine ottobre 2019, il cda guidato dal professor Gianvito Giannelli ha inviato una contestazione nei confronti di Gianluca Jacobini, cancellando anche la posizione di condirettore generale dall’organigramma della banca. E a dicembre ha avviato le azioni di responsabilità nei confronti dell’ex amministratore delegato Giorgio Papa e dei dirigenti Nicola Loperfido, Benedetto Maggi e Vito Catalano.