FOGGIA - Che mafia fa? Che mafia è? Nelle stanze della “Società foggiana”, che per i boss sono le celle in cui da trent’anni e passa trascorrono gran parte della loro vita e questo dovrebbe far riflettere loro e chi insegue la stessa strada e l’ascesa ai sette gradi della camorra, si sorriderà pensando a chi addirittura nicchia sulla sua esistenza/forza; e ancor più a chi ne esalta il potere, andando oltre le reali potenzialità e capacità criminali.
Se nel 2017 l’allora procuratore nazionale antimafia Franco Roberti la definì la “quarta mafia d’Italia, classificazione che ingloba anche i clan garganici e la criminalità organizzata di Cerignola, ci sarà un motivo. E’ perché viene dopo Cosa nostra siciliana, ‘ndrangheta calabrese, e camorra campana. C’è un abisso tra i primi tre posti e la quarta “onorevole” (per i mafiosi di casa nostra) posizione. Dimenticarlo, far finta di non saperlo, o non saperlo affatto, significa non conoscere i fatti: la “Società” foggiana fa di per sé paura, non c’è bisogno di dipingerla ancora più brutta, le si fa soltanto un favore.
Sottovalutazioni - Le sottovalutazioni degli anni Ottanta e primi anni Novanta (quando si pensava “tanto si ammazzano tra loro”, quando la commissione antimafia dava i primi allarmi e un sindaco rispondeva che la visita a Foggia dell’organismo parlamentare era un’onta per la città) l’hanno fatta crescere, dimostrando che investire sul terrore dava i suoi frutti. La strage Bacardi del primo maggio ’86 con 4 morti fu un’azione di terrorismo-camorristico per sterminare i rivali, altro che “tanto si uccidono tra loro”; e la Gazzetta scriveva: “questa è camorra, anzi è guerra di camorra”, pronunciando la parola vietata per molti, troppi in città. La morte di Giovanni Panunzio, ucciso il 6 novembre ’92 per aver denunciato il racket che pretendeva da lui 2 miliardi fu un omicidio preventivo e dimostrativo, come insegna Cosa Nostra visto che solo in Sicilia e nel capoluogo si eliminavano in quegli anni i simboli di ribellione al pizzo.
Ancora sottovalutazioni – Le sottovalutazioni sarebbero proseguite anche quando negli anni Novanta sembrava di fare una concessione ai malavitosi, prendendo atto se non coscienza dell’esistenza di una criminalità organizzata a Foggia, ma relegandola a “mafia degli straccioni”.
Gli anni a venire hanno raccontato e raccontano che errore fu non capire subito che la mafia era in città, e perseverare fu ritenerla “stracciona”. Il tentativo di industrializzare il racket del pomodoro con un pizzo di mille euro per ogni quitale raccolto, affare potenziale da 19 miliardi (raffica di arresti nell’agsoto ’92, accuse prescritte perché al processo d’appello s’arrivò dopo 17 anni); l’ipotesi di alleanza tra boss e alcuni costruttori per far entrare i primi nel mondo dell’edilizia garantendo protezione ai secondi (blitz “mafia e appalti”, 9 arresti a ottobre 2003, tutti prosciolti); le infiltrazioni nell’Amica, l’ex azienda del servizio rifiuti (blitz Piazza Pulita, 9 arresti il 6 aprile 2012); gli investimenti nel settore vitivinicolo sull’asse Foggia-Romagna per una truffa milionaria a Unione europea e Erario (blitz Baccus, 24 arresti l’11 giugno 2012); i tentativi di monopolizzare il ricco affare dei funerali tra un cartello mafioso di imprese (Osiride, 10 arresti a maggio 2017); l’alleanza con il clan dei casalesi per stampare banconote false da 20 euro a Foggia (Filigrana, 10 arresti il 19 marzo 2012); l’idea di centralizzare le estorsioni attraverso il paravento di un consorzio che di facciata avrebbe offerto servizi alle aziende agro-alimentari e di fatto avrebbe imposto un pizzo pari al 3% dei bilanci (Rodolfo, 10 arresti a aprile 2016); l’alleanza con i garganici e gli albanesi per sbarcare sul Promontorio tonnellate di droga che rifornissero i mercati italiani, entrando nel narcotraffico internazionale; gli investimenti-riciclaggio in repubblica Ceca e le truffe per lucrare sui contributi comunitari ad aziende agricole (Grande Carro, 47 arresti a ottobre 2020).
E ancora le intestazioni fittizie di beni per mettere le mani su aziende e ristoranti del Pescarese con prestiti a strozzo (8 arresti lo scorso 14 aprile disposti dalla Dda di L’Aquila); la parabola di imprenditori che da vittime passano a collusi e diventano contigui ai clan per riciclarne i soldi.
Tutto questo dà l’idea di una Società “sempre più degli affari”; con una terra di mezza punto d’incontro di interessi mafiosi, imprenditori collusi, amministratori corrotti; con una borghesia mafiosa, concetti ribaditi nelle ultime relazioni semestrali della Dia. Senza, ovviamente, mai dimenticare il primo amore: il pizzo.
Estorsioni a tappeto; tangenti messe in preventivo come una tassa da pagare all’Antistato per vivere tranquilli; pochissime denunce; i silenzi di chi esce dalla Questura avendo negato d’essere sotto estorsione per entrare a casa degli estorsori e informarli delle inchieste in corso; indagini che prim’ancora di dare la caccia ai ricattatori devono andare in cerca delle vittime silenti, impaurite, omertose. Tutto questo è la “Società foggiana”. Nella sua forza che si nutre di violenza e terrore, spesso enunciati, altrettanto spesso evocati perché per ottenere quel che si pretende… basta la parola è sufficiente evocare lo spettro della criminalità.
E sopravvalutazioni - Ma pur di fronte alle autorevolezza di chi ha definito la Società “primo nemico dello Stato”; ha avvertito del rischio “di finire come la ‘ndrangheta”; ha ipotizzato parallelismi con i corleonesi dicendo che “la mafia foggiana si sta caratterizzando per l’esercizio di una violenza fisica talvolta eclatante, da questo punto di vista è quella che più si avvicina alla mafia corleonese”; ha avvertito in città “quell’arretratezza culturale che c’era forse a Palermo negli anni Ottanta: la gente non denuncia, collabora poco e solo quando non ha alternative”; si fa fatica a mettere sullo stesso livello i mafiosi nostrani con quelle della hit parade.
Giusto per ricordare. Cosa nostra è quella dei mille morti nella Palermo dei primi anni Ottanta, delle stragi di servitori dello Stato, delle bombe nel Continente per costringere lo Stato a venire a patti, che ha esportato la parola mafia nel mondo. La ‘ndrangheta è seconda solo ai narcos messicani nel settore cocaina, tanto da gestirne i traffici in tutta Europa, reinveste miliardi e miliardi nelle regioni ricche. La Camorra è quella delle centinaia di morti, dei 500mila euro fatturati ogni giorno nelle piazze dello spaccio, quella che Gomorra è proprio così. La “Società foggiana” gongola nel sentirsi paragonata a mafiosi così.