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La riforma della giustizia tra misure opportune e un tassello mancante

La riforma della giustizia tra misure opportune e un tassello mancante

 
Bruno Vespa

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Bruno Vespa

La riforma della giustizia tra misure opportune e un tassello mancante

I magistrati che condannarono Tortora hanno raggiunto l’apice

Sabato 26 Luglio 2025, 12:00

È solo funzionale alla polemica di giornata se il pubblico ministero Carlo Nordio fosse contrario alla separazione delle carriere nel 1994 e se ne sia pentito pubblicamente nel 1995. L’episodio ci ricorda tuttavia che sono passati trent’anni tondi da quando Berlusconi pose il problema. Si capisce perciò la soddisfazione del centrodestra - e segnatamente di Forza Italia - perché un percorso così lungo e tormentato vada verso la conclusione e la furiosa reazione della magistratura associata che si avvia a perdere una storica battaglia.

La nascita di due distinti consigli superiori, più che a scindere definitivamente le funzioni dei magistrati (già con la legge Cartabia era stato abolito il salto frequente dalla funzione requirente del PM da quella giudicante), serve ad evitare gli inquinamenti e il gioco correntizio nelle promozioni e soprattutto nel giudizio disciplinare sui colleghi. L’estrazione a sorte dei componenti dei due consigli superiori ha il proposito di smantellare le correnti, o comunque di indebolirle fortemente. Per mettere d’accordo le diverse componenti, la sostituzione del procuratore della Repubblica, poniamo, di Torino, era ferma in attesa che scadesse l’incarico del presidente del tribunale, poniamo, di Milano e del capo dei giudici delle indagini preliminari, poniamo, di Palermo, per poter attivare uno scambio che penalizzava le correnti pro tempore più deboli e soprattutto i magistrati non militanti nelle diverse aree. Quando era il dominus della magistratura associata, Luca Palamara (poi vittima dei suoi colleghi Robespierre) mi disse: «Il sorteggio ci ammazzerebbe». È la prova che si tratta di una misura più che opportuna. L’altra riforma decisiva è l’istituzione di un’Alta corte disciplinare composta da membri laici e magistrati (in larga maggioranza) diversi dai componenti dei due consigli superiori e anch’essi sorteggiati. Oggi un presidente del tribunale può essere intimidito nel dar torto a un pubblico ministero membro del Consiglio giudiziario che deve giudicarlo . A chi obietta che il sorteggio prescinde dal merito, si può rispondere che oggi spesso il merito è stabilito dalle correnti (valga per tutto la memorabile bocciatura che Giovanni Falcone ricevette dal Csm nel 1988 nella scelta del Consigliere istruttore di Palermo). E che oggi sono sorteggiati i componenti del Tribunale dei ministri che funziona senza particolare anomalie.

Non è vero che la riforma indebolisce il pubblico ministero, la cui casta può perfino essere rafforzata da un Consiglio superiore separato. Si può invece obiettare che la riforma è mutilata di un tassello fondamentale: l’avanzamento di carriera per merito. Oggi il 99.2 per cento dei magistrati riceve un giudizio positivo dai colleghi (Cartabia dixit). Un caso tra le molte migliaia: i magistrati che inquisirono e condannarono Enzo Tortora hanno raggiunto tutti il massimo della carriera e uno di essi diventò membro del Csm. Se si stabilisse che oltre - poniamo - un venti per cento di richieste di rinvio a giudizio o di sentenze riformate la carriera del magistrato fosse rallentata, come accade in qualunque mestiere, si farebbe una scelta di civiltà e di buon senso.

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