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La strage di Via D’Amelio, il valore dei simboli tra memoria e speranza

 
francesco giorgino

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francesco giorgino

La strage di Via D’Amelio, il valore dei simboli tra memoria e speranza

Le istituzioni non possono e non devono essere in lotta l’una con l’altra. Il nemico è fuori dallo Stato, non dentro

Domenica 20 Luglio 2025, 13:00

17:41

Nelle scienze sociali la memoria assolve ad una funzione molto più ampia della semplice custodia dei ricordi. Diventa strumento di costruzione identitaria e comunitaria, elemento di legittimazione valoriale e culturale, punto di congiunzione tra il passato (anche nella sua versione più tragica), il presente e il futuro. La memoria è, infatti, un antidoto potente all’oblio e alla dimenticanza, che privano il tessuto sociale delle radici più significative, relegando nelle retrovie dell’esistenza umana i percorsi di significazione più rilevanti.

Come già evidenziato dal filosofo francese Maurice Halbwachs, la memoria collettiva nasce dalle forme più efficaci di ciò che dalla letteratura sociologica viene denominato con l’espressione «simbolismo commemorativo». È questa la macro dinamica alla base delle molteplici iniziative che si si sono svolte ieri in occasione del trentatreesimo anniversario della strage di via D’Amelio a Palermo. Strage durante la quale morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Non si sta proponendo un esercizio automatizzato di reminiscenza storica e nemmeno una pratica di conferimento di senso dal sapore retorico, ma una riflessione autentica e condivisa intorno ad un «segno indelebile», come lo ha definito il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, partendo dalla consapevolezza di un «esempio che vive ogni giorno», volendo utilizzare la parole scelte dalla premier Giorgia Meloni.

Ricordare a distanza di decenni episodi di cronaca come la strage di via D’Amelio, che sconvolse l’opinione pubblica a livello nazionale e internazionale, serve oltre che a riconoscere pubblicamente il valore del sacrificio delle vittime della criminalità organizzata mafiosa, anche a promuovere la cultura della legalità e a coltivare il bisogno di giustizia, assumendo nel contempo l’impegno solenne affinché non si ripetano mai più episodi simili. Possiamo aggiungere che equivale, altresì, a cogliere il senso stesso della democrazia, proprio perché è capitato che nei secoli essa sia stata messa a dura prova e persino minacciata.

I simboli, come lo sono stati (e come lo sono) Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, aiutano a trasferire i concetti più astratti sul piano della concretezza. Agevolano la comprensione dei fenomeni e dei processi di identificazione collettiva, forti della propria funzione primaria, che certamente resta correlata alla natura evocativa. La psicologia rappresenta il valore dei simboli in quella zona di confine che si sviluppa tra l’inconscio e il conscio, così come è capace di strutturarsi nel discorso pubblico. Nel nostro Paese ci sono generazioni che possono conoscere il significato di queste pagine di storia solo grazie al «simbolismo commemorativo», appunto. Per questo motivo, ricordare quanto è accaduto è anzitutto un dovere civico e morale. A maggior ragione se l’attività di riproposizione in chiave diacronica di episodi lontani nel tempo si riferisce a fatti che non hanno ancora portato all’affermazione piena e incondizionata della verità. Almeno di quella processuale.

Dunque, la memoria sociale e la rievocazione pubblica, ad esito positivo dell’esercizio di responsabilità collettiva, garantisce il perseguimento di obiettivi generali e specifici. Tra questi ultimi, unitamente al trasferimento della conoscenza degli accadimenti avvenuti tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo (sovente assenti dai libri di storia contemporanea), vi è la proposizione di alcuni punti fermi nella strutturazione delle mappe valoriali. A tal fine, non si può non sottolineare l’atto di coraggio che viene da più parti associato alla vicenda personale di Borsellino, ben conscio della tragica fine che avrebbe fatto anche lui dopo la morte del proprio collega Falcone. Il coraggio è uno di quei terreni di gioco che può essere coltivato grazie all’esempio altrui, attraverso cioè quella logica emulativa che sfrutta la meccanica esecutiva del contagio e che si innesca quando si diffonde agevolmente e rapidamente la percezione della possibilità di resistere alla paura e di correre alcuni rischi.

Un altro messaggio che si ricava dal ricordo di questa ed altre stragi di mafia è che le istituzioni non possono e non devono essere in lotta l’una con l’altra. Il nemico è fuori dallo Stato, non dentro. Non si sottovaluti, infine, la visione estensiva della legalità, qui da intendersi come riconoscimento e pratica delle leggi, ma anche come partecipazione attiva alla vita di una comunità. Le regole da sole non bastano. La legalità coincide, infatti, anche con il rispetto umano che considera la persona un fine e non un mezzo, come già sostenuto da Antonio Rosmini. Rispetto, dunque, come relazione sociale basata sull’interazione reciproca.

Il fondatore della sociologia Auguste Comte, a differenza di Thomas Hobbes, sosteneva che nell’essere umano non c’è solo una tendenza all’aggressività (homo homini lupus) ma anche una vocazione all’altruismo. Ripartire da queste basi è socialmente utile e conveniente.

fgiorgino@luiss.it

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