Continuiamo a definirci Homo sapiens. Che arroganza, che stoltezza. Nella storia del nostro pianeta non c’è mai stata altra specie vivente che abbia costantemente minacciato i propri simili, mentre noi in centinaia di migliaia di anni non siamo riusciti a elaborare alcuna metodologia di risoluzione dei conflitti in grado di farci fermare, sempre e comunque, un passo prima della guerra.
Le straordinarie facoltà del nostro cervello ci hanno condotto a incredibili scoperte e trasformazioni positive. Che meraviglia, se non fosse che pari impegno continuiamo imperterriti a dedicare anche allo sviluppo senza fine dell’industria della guerra.
Un solo esempio per fotografare la follia umana. Si calcola che o nel mondo ci siano quattromila bombe nucleari in mano a sette diversi Paesi. Ne basterebbero una cinquantina per distruggere ogni forma di vita umana. E le altre? Sì, le altre tremila novecentocinquanta? Tutte, comunque vadano le cose, totalmente inutili. Non sapremmo neanche a chi lasciarle in lugubre eredità. E come se non bastasse, si parla di altre centinaia di miliardi per armarci ancor più, mentre abbiamo un disperato bisogno di restituire miglior dignità al nostro welfare, di investire come non mai nei sistemi educativo e sanitario, in tutti i Paesi.
La spesa militare mondiale si aggira ormai sui duemila cinquecento miliardi di dollari all’anno. Una cifra così grande che abbiamo difficoltà a comprenderne la portata. Ci aiutano i numeri di vere emergenze a farci aprire gli occhi. Secondo i dati della Oxfam, per azzerare la fame nel mondo e il debito estero dei Paesi più poveri, sarebbero necessari una cinquantina di miliardi all’anno: il due per cento della spesa militare. Venti dollari ogni mille spesi. Cioè homo sapiens, sempre lui, non riesce a risparmiare qualche briciola su armi e dintorni e preferisce far soffrire (e in tanti casi morire) di fame non meno di settecento milioni di persone.
Si vis pacem, para bellum è il cardine della teoria della deterrenza. Non è affatto dimostrato che funzioni, mentre è assodato che sia un formidabile argomento dei fautori di una infinita corsa al riarmo. Il concetto di deterrenza è legato all’idea di equilibrio, di equivalenza di forze, non contiene alcun elemento di valore assoluto, non prevede che io debba avere un certo numero preordinato di ordigni. Devo possedere una quantità di armamenti tale da non farti pensare che io possa essere tua facile preda. Ma fu proprio l’idea di equilibrio ad essere saggiamente interpretata al ribasso da Gorbaciov e Reagan nel 1987. Lo smantellamento di migliaia di testate nucleari dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti caratterizzò la fine della «guerra fredda», anticipò la caduta del Muro di Berlino, segnò un’epoca che oggi più che mai, in lontananza, ci appare dorata. Durò pochi anni. Ed è sconsolante constatare come l’idea di biunivoco smantellamento degli arsenali non riesca proprio a trovare posto nell’agenda di chi ormai gioca quotidianamente col futuro degli abitanti di tutto il pianeta.
Ma cos’altro deve accadere per fermare la corsa al rialzo degli armamenti? Quale cifra mostruosa deve raggiungere il pallottoliere sul quale contiamo le vittime di guerra che – sia chiaro - sono tutte innocenti, anche se inorridiamo maggiormente dinanzi ai cadaveri di bambini e donne? E i ragazzi costretti alle armi per ragioni che neppure condividono? «Sono stufo di vecchi che progettano guerre in cui mandano a morire i giovani!», diceva George McGovern, senatore statunitense, pilota di bombardieri nella seconda guerra mondiale.
«Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra» ammonisce Francesco, ormai unico gigante in un orizzonte politico mondiale popolato soltanto da pigmei. Il richiamo, forte e disperato, è a riprendere in mano il bandolo della matassa della vita. Perché nella vertiginosa accelerazione di ogni quotidianità, homo sapiens ormai ha tempo e spazio soltanto per le urgenze, mai per le importanze.
Cambiare mentalità è difficilissimo e richiede tempi lunghi. E dunque? Vogliamo gettare la spugna e lasciare che la slavina continui a trascinare a valle tutto e tutti? Fra dieci, venti, trent’anni, il mondo sarà nelle mani degli attuali adolescenti, dei giovani che ora sono nelle università. Possiamo sperare soltanto in loro.
Come console onorario della Costa Rica in Italia sono chiamato a parlare del modello di pace e sviluppo praticato dal piccolo Paese centroamericano da quando, nel 1948, abolì l’esercito e spostò le risorse destinate alla difesa su educazione e sanità pubbliche. Quando ne discuto nelle scuole, ci sono occhi che si illuminano, c’è sempre qualcuno che ha voglia di fermarsi a riflettere su come, da quasi ottanta anni, viene vissuta e difesa la Pace in un Paese senza forze armate.
Nel Liceo Giacomo Leopardi di Recanati sono ritornato un anno dopo aver varato un accordo di gemellaggio con un istituto di San Ramón, in Costa Rica. Insieme, giovani di due Paesi tanto lontani, hanno cominciato a confrontarsi su questi temi giungendo alla definizione di un magnifico obiettivo da perseguire: se davvero siamo homo sapiens, dobbiamo essere in grado di rendere la guerra un tabù, qualcosa da relegare in un passato di barbarie, esattamente come abbiamo fatto con la schiavitù, il cannibalismo, la pedofilia. La guerra, per loro, è una cosa da vecchi.