Sabato 06 Settembre 2025 | 12:48

Una vita felice e serena, si diventa terroni con la speranza nel cuore

 
Lino Patruno

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Lino Patruno

Una vita felice e serena, si diventa terroni con la speranza nel cuore

C’è quell’aria un po’ così che avete tutti voi che avete fatto le vacanze al Sud. Tanto abbronzati quanto malinconici. I brasiliani la chiamano «saudade», per chi lì c’è stato è «mal d’Africa»

Venerdì 06 Settembre 2024, 13:38

C’è quell’aria un po’ così che avete tutti voi che avete fatto le vacanze al Sud. Tanto abbronzati quanto malinconici. I brasiliani la chiamano «saudade», per chi lì c’è stato è «mal d’Africa». Qui «un dio fece i vostri ozi», e non solo perché di queste parti era un poeta come il lucano Orazio. Voi che avete detto: quest’anno «si va giù». Perché poi senza aspettartelo, caro milanese che fai il milanese sentendoti dell’altro mondo, scopri che per fortuna c’è un terrone pure in te, anche se farlo sapere dalle tue parti è meglio no, fosse un colpo di sole. Fatto è che tanti come te hanno poi preso qui casa, basta aggirarsi in Valle d’Itria o fra masserie del Salento, ci vengono ogni volta che da Milano c’è da fuggire, e non solo a fine settimana. Ma vuoi vedere che bisogna diventare terroni per vivere felici?

Che questo fosse finora il Sud delle partenze più che degli arrivi, è un destino non da oggi. C’è però sempre più un Sud della «tornanza», di chi si mette il mare Adriatico a sinistra dopo averlo avuto a destra andando via. Un Sud di chi decide di tornare: pochi per parlare di controesodo, molti per non chiedersi perché. E poi il Sud della «restanza», chi non va via a volte per seguire una moda più che una necessità. Ma doveva mettersi questo impunito di Alessandro Brunello, milanese che più milanese non si può, a far sapere che è proprio uno come lui non soltanto a cambiare vita ma di averlo fatto scendendo «giù» per vivere meglio. A Taranto, quasi ad onta di tanti tarantini che pure motivi per voler respirare altrove ne avrebbero. E Sud un cui avo a lui più vicino era un bisnonno da parte di nonna, un «ragazzo del ‘99» più remoto di Saturno.

Più che un libro, quello di Alessandro è una sorta di manifesto da «sei tutti noi». Lui è un milanese tutto apericena aziendali e bagni all’Idroscalo, roba che sta al mare come un McDonald’s sta a una frisella. Lui è un milanese di quelli che non ti fermi mai, e non solo alla Vasco Rossi. Lui è un milanese di quelli di giornate fatte di multinazionali, startup e intelligenza artificiale. Lui è un milanese di quelli a cento all’ora perché il progresso è (sarebbe) solo velocità, la vita è solo produttività, la parola d’ordine è solo competitività, far soldi è l’unica moralità, affannarsi è l’unica modernità. Un milanese che fino ai suoi 46 anni aveva così nutrito la vorace macchina perfetta della metropoli del Nord, oscuro oggetto del desiderio di tanto Sud. E chissà quanto sotterranea alienazione di tanta umanità.

Alessandro è uno che «questa volta penso a me». Uno che voleva recuperare il valore del suo tempo. Venendo a vivere a Sud dove il tempo, più che correre, scorre. Dove una lentezza non è solo perdere tempo o prendere tempo, ma è guardarsi intorno, scoprirsi a sostare senza commettere peccato, darsi una pausa senza rossore. Perché abbiamo bisogno di fermarci (magari di tanto in tanto) per consentire alla nostra anima di raggiungerci. Un Sud dove la gente ti guarda ancora in faccia e non scappa se gli rivolgi una domanda. Un Sud dove non sei mai solo. Un Sud ancora capace di incanto nel generale disincanto. Un Sud di vite di cortesie che lascia sconcertato uno scrittore piemontesissimo come Luca Bianchini: a Polignano ho chiesto dov’è un barbiere e mi ci hanno accompagnato loro. Un Sud che esporta umanità. Un Sud che faceva dire a Cesare Pavese: con la gente di questi posti, si capisce che qui una volta la civiltà era greca.

C’è stata nel mondo, soprattutto dopo il Covid, la «great resignation», le dimissioni di massa di milioni di lavoratori che mai l’avrebbero fatto prima. Memori del tempo sospeso della pandemia, di quanto ci abbia fatto cambiare idea, hanno voluto recuperare sé stessi, concedersi altro che non fosse solo il cartellino quotidiano e i giorni sempre uguali e un giorno dopo l’altro la vita se ne va. C’è stata una caccia al luogo più vivibile più che al luogo deluxe. C’è stato un nuovo sentimento dell’abitare. C’è stata domanda di qualcosa di fisico e di vitale scomparso altrove. C’è stata una ricerca di borghi e di Sud. Perché c’è una attesa di felicità che si domanda se la vita che voglio è davvero quella che faccio. E se quella che voglio posso farla dove sono.

È quanto si è chiesto anche Alessandro, decidendolo a diventare terrone, anzi (dice) a tirare fuori quel terrone che c’è in ciascuno di noi. Addio Milano, basta. Lui affermato autore televisivo, regista, pubblicitario, saggista, docente. Lui che con un computer può lavorare vivendo in qualsiasi altro posto che non sia Milano. Il Sud non dovrebbe deluderlo ritenendosi un non-ancora-Nord in attesa di diventarlo. Il sospetto è che anche un milanese fuggiasco, anzi soprattutto lui a nome di tanti altri candidati imitatori, preferisca un Sud autenticamente meridionale a un Sud artificiosamente settentrionale.

(NB. Il tutto al servizio di quei meridionali che non vedono l’ora di andarsene a Milano, rimanendo però sempre fra i nostri piedi).

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