Sabato 06 Settembre 2025 | 12:44

Il presidente è il bersaglio, da Lincoln a Kennedy la lunga scia di sangue

 
Enzo Verrengia

Reporter:

Enzo Verrengia

Il presidente è il bersaglio,  da Lincoln a Kennedy la lunga scia di sangue

Il primo inquilino della Casa Bianca a cadere in servizio fu James Garfield. Il 2 luglio 1881, appena due mesi dopo la sua entrata in carica

Lunedì 15 Luglio 2024, 13:06

Donald Trump non è ancora stato eletto Presidente degli Stati Uniti d’America e neppure investito ufficialmente della nomination dal Partito Repubblicano, che già viene fatto segno di un attentato. Gli si avvera sulla pelle l’ammonimento scritto una volta sul «New York Times» da James Reston: «In America chiunque può avvicinarsi al presidente e sparargli».

Il primo inquilino della Casa Bianca a cadere in servizio fu James Garfield. Il 2 luglio 1881, appena due mesi dopo la sua entrata in carica, fu preso di mira in una stazione di Washington da Charles J. Guiteau, un avvocato senza lavoro. La sua agonia durò fino al 19 settembre, quando si spense per un’infezione trasmessagli da medici incauti, che non sterilizzarono le loro dita, con cui cercarono di asportargli i proiettili ricevuti.

William McKinley prese due colpi di rivoltella il 6 settembre 1901, mentre presenziava un evento alla Concert Hall Temple of Music di Buffalo, nello stato New York. Mentre salutava il pubblico e stringeva le mani a tutti, fu avvicinato dall’anarchico di origini polacche Leon Czolgosz, a conferma delle parole di Reston. Gli sparò all’addome e McKinley spirò il 14 settembre. All’arresto, l’omicida dichiarò: «Sono un anarchico. Ho ucciso il presidente per compiere il mio dovere. Sento che nessun uomo dovrebbe avere tutto questo potere».

Quello di Abraham Lincoln fu per decenni considerato il padre di tutti gli omicidi presidenziali. L’impresa funerea compiuta dall’attore John Wilkes Booth il 14 aprile 1865 al Ford’s Theatre di Washington fu oggetto di teorie della cospirazione persistenti anche oggi. Booth era un simpatizzante dei Confederati e il giorno dopo la morte di Lincoln la guerra civile americana terminò.

Si giunge così al 22 novembre 1963, un incubo destinato a stamparsi nella memoria collettiva con i fotogrammi del filmato di Abraham Zapruder. Il corteo presidenziale, risalito da Houston Street in Dealey Plaza, svolta da questa in Elm Street. All’improvviso degli spari. John Fitzgerald Kennedy china il capo in avanti, poi la parte posteriore della testa gli esplode. Sua moglie, Jacqueline Bouvier, la First Lady, si precipita verso il cofano posteriore, nel pietoso tentativo di riafferrare quei resti del marito. Un agente del servizio segreto balza là sopra, battendo forsennatamente sulla lamiera. Il maestro inglese del thriller, Fredrick Forsyth annotò nel suo capolavoro, Dossier Odessa: «Tutti sembravano ricordare con grande precisione quello che stavano facendo quel giorno». Un moscovita, Vladimir Ambrosickin, invia all’ambasciatore statunitense Foy Kohler una lunga poesia che a un certo punto recita: «Le ali dell’aquila si sono ripiegate».

Lee Harwey Oswald agì da cecchino solitario? Dietro c’era un complotto. No, stando ai risultati ufficiali della Commissione Warren. Ma le strade intraprese dal giornalismo investigativo sono molto ramificate e tutt’ora nessuna sembra portare ad una verità alternativa. Specie con la comparsa del candidato indipendente Robert Kennedy Junior, figlio del fratello di John, anche lui ucciso in un attentato, che proclama a gran voce le sue idee non convenzionali sulla storia americana recente, e in particolare quella riguardante la sua famiglia.

Ad attentati per fortuna non letali scamparono Theodore Roosevelt, quando non era più presidente, Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman e Ronald Reagan. Nel caso di quest’ultimo, si registrò il momentaneo protagonismo del colpevole, John Hinckley. Fu il giovane che gli sparò all’uscita dell’Hilton Hotel di Washington il 30 marzo 1981. Negò ogni motivazione politica, aveva solo la delirante aspirazione di acquisire fama agli occhi dell’attrice Jodie Foster.

Nessuna meraviglia che anche in fase di candidatura il possibile Capo dell’Esecutivo sia un obiettivo. Quello del Presidente degli Stati Uniti d’America è il massimo potere del pianeta. Imperatore elettivo pro-tempore, il suo carisma va ben oltre i confini del Paese. Soprattutto nell’era del flusso mediatico perpetuo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)