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Balneari, Governo tra incudine elettorale e martello europeo

 
Danilo Lupo

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Danilo Lupo

Balneari, Governo tra incudine elettorale e martello europeo

La manifestazione a Roma a Palazzo Chigi, la protesta degli operatori e la diversa situazione della Puglia. Bruxelles ha dato all’Italia altri quattro mesi prima di far scattare multe milionarie

Martedì 06 Febbraio 2024, 13:30

«È chi ci va a trattare con l’Europa? Fitto? Il solito democristiano che si accomoda in tutti i partiti?». Occhi spalancati, voce stentorea, l’uomo che parla a un manipolo di manifestanti davanti a Palazzo Chigi si chiama Claudio Maurelli. È una fredda mattina di gennaio, davanti alla sede della presidenza del consiglio sono schierati decine di poliziotti. Precauzione necessaria ma inutile: i balneari scesi in piazza saranno al massimo un centinaio. Civili e composti ma non le mandano a dire: «A cominciare da Salvini, a cominciare dalla Meloni, a cominciare da Di Maio, tutti hanno detto No Bolkestein. Se ora hanno cambiato idea ce lo devono dire» scandisce Maurelli, leader di «Popolo produttivo», una sigla attiva su facebook e telegram. Nome fantasioso ma ben rappresentativo degli umori che agitano gli imprenditori balneari; e anche del doppio braccio di ferro che si gioca sulla questione.

Breve riassunto delle puntate precedenti: da tempo la Commissione Europea ha messo in mora l’Italia sulla questione dei lidi balneari. Le spiagge italiane sono una risorsa scarsa - è il ragionamento europeo - e quindi ricadono nella Bolkestein, cioè la direttiva che impone aste pubbliche e esclude la possibilità di proroghe automatiche. Il ragionamento europeo è stato accolto dai tribunali italiani: il Consiglio di Stato a sezioni unite ha sancito senza alcuna ombra di dubbio l’obbligo di mettere a gara le concessioni balneari lì dove la risorsa rappresentata dalle spiagge è scarsa; e poi è stato cristallizzato dal parlamento italiano, con la norma partorita nel luglio 2022 sotto il governo Draghi.

Dal novembre 2022 però Draghi non c’è più: il nuovo esecutivo di centrodestra è andato al potere anche facendo il pieno dei voti dei balneari. E ora si trova tra incudine elettorale e martello europeo, alle prese con un doppio braccio di ferro, esterno e interno.

Il braccio di ferro esterno impegna l’Europa e l’Italia, o meglio la commissione europea e il governo italiano; quello interno è tutto dentro la maggioranza di governo, tra gli antieuropei alla Salvini e gli europeisti alla Fitto. Sullo sfondo ci sono le elezioni europee di giugno, che saranno cruciali per decidere se il centrodestra italiano sarà un triumvirato Meloni/Salvini/Tajani o una monarchia costituzionale con a capo la premier in carica. In questa contesa sotterranea potrebbero rivelarsi determinanti le 30mila famiglie che campano di concessioni demaniali (balneari ma non solo), che hanno già dimostrato di saper contare e pesare nelle elezioni. E il Salento sarà un test interessantissimo: è la terra di Raffaele Fitto, cioè l’ambasciatore della Meloni in Europa. Fitto che già nel 2009 (era ministro degli affari europei del governo Berlusconi) fece infuriare i balneari dicendo che non c’era alternativa alle gare. Fitto che - non è un mistero - ambisce a diventare il prossimo commissario italiano in Europa e sa che sulla questione balneari il governo Meloni (e lui stesso) si gioca l’esame di maturità europea. Ma il Salento non è solo la provincia di Fitto: è anche la terra in cui l’impetuoso sviluppo turistico dell’ultimo ventennio ha fatto emergere una classe dirigente in cui i balneari sono fortissimi. Una lobby che ha messo casa soprattutto nel partito che, con la regia del senatore Roberto Marti, ha accolto molti transfughi ex fittiani: la Lega. È imprenditore balneare il segretario provinciale e consigliere regionale Gianni De Blasi (lido Samarinda a Leuca); è imprenditore balneare il deputato Salvatore Di Mattina (lido Punta della Suina a Gallipoli); è imprenditore balneare l’europarlamentare di riferimento, cioè Massimo Casanova, il cui stabilimento è il famoso Papeete sulla costiera romagnola ma che è stato eletto al sud grazie alle origini (e alla fattoria) in terra dauna.

È anche a causa di questa impressionante concentrazione di balneari nelle istituzioni che il governo sta tentando un’ultima manovra per esentare i balneari dalle gare: una mappatura delle coste italiane che allunga i chilometri totali, contando anche le banchine dei porti o le foci dei fiumi, e gonfia la parte concedibile, includendo anche le coste rocciose e irraggiungibili fra quelle utili a ricavare stabilimenti. L’obiettivo spericolato è quello di dimostrare che le spiagge italiane non sono una risorsa scarsa e che quindi vanno escluse dalla applicazione della Bolkestein.

La commissione europea, davanti a questo tentativo un po’ goffo contenuto in otto paginette inviate nel dicembre scorso, ha risposto con una lettera di fuoco, lunga e articolata; ma al tempo stesso ha dato all’Italia altri quattro mesi prima di far scattare le multe milionarie dovute alla procedura di infrazione. Tempo utilissimo alla premier Meloni e al ministro di Maglie stretti tra incudine e martello per trovare una soluzione. Finora il governo si è mosso in base alla famosa media di Trilussa: se io mangio due polli e tu nessuno, in media abbiamo mangiato un pollo a testa. Sulle spiagge si è proceduto allo stesso modo: ci sono comuni in Romagna, in Liguria o in Toscana dove gli stabilimenti occupano quasi il 100 per cento della costa disponibile. In alcune regioni meridionali la situazione è completamente diversa. In Puglia, ad esempio, la pressione dei privati è stata contenuta da ottime norme come la legge Minervini, che ha imposto ai lidi di non mangiare più del 40% della costa utile. Se, capovolgendo la media di Trilussa, la scarsità delle spiagge venisse valutata non con una media su tutta Italia ma comune per comune, il vantaggio sarebbe tutto per le regioni meridionali, dove le coste sono più libere, e il danno sarebbe per quelle settentrionali, storicamente più occupate. Anche per questo il ministro delle infrastrutture (con delega alle concessioni demaniali) Matteo Salvini scalcia e la Lega dei balneari è in trincea per difendere i legittimi interessi del proprio elettorato al nord. Anche per questo i balneari sono in fermento: c’è chi manifesta, come il manipolo dei concessionari radunatosi sotto Palazzo Chigi; e chi aspetta e tace, come le sigle sindacali ufficiali dei balneari. Nelle urne di giugno, a stagione iniziata e a ombrelloni aperti, molte domande troveranno risposta.

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