il commento

Oscurare la storia non aiuta i giovani a crescere

Lisa Ginzburg

Tutto questo odio e dolore che si respira li tocca nel profondo, ben più di quanto non tocchi noi, che con l’età una qualche scorza ce la siamo fatta

Se hai figli non più bambini ma nemmeno cresciuti, figli preadolescenti o adolescenti, in tempi difficili come è questo, difficile e doloroso per causa di una geopolitica scellerata, è facile trovarsi paralizzati in una sorta di dilemma pedagogico.

Da un lato pensi che i ragazzi (nel senso, è ovvio, di «le ragazze e i ragazzi») debbano sapere cosa accade, a grandi linee quantomeno; dall’altro lato, con stessa urgenza e convinzione senti, imperativo, il dovere di proteggerli da quello stesso sapere. Per settimane, la sera tieni la televisione spenta, nel timore che i figli possano assistere a tante scene orribili e disumane. Già spezzano il cuore a te, a voi, genitori, non si vede necessità che sia lo stesso per i figli. Poi, passato un po’ (troppo) tempo, ci si decide a riaccendere la televisione, lasciar entrare da qualche spiffero l’informazione dentro casa. Questo perché dopo varia riflessione si considera che, se pure in forma minima, i figli / ragazzi preadolescenti o adolescenti debbano sapere quale funesto momento attraversiamo.

Allora, tra lo stupore e la presa d’atto, può accadere di accorgersi della loro resistenza a sapere. Si difendono da un dolore eccessivo. Non che si sottraggano fisicamente, magari davanti alla televisione ci restano; ma lo fanno tenendo ben fermi tra le mani i telefoni cellulari e fissandoli (come al solito, ora forse ancora di più) pur di non vedere sullo schermo della televisione gli orrori e i frangenti di guerra e di morte che sfilano, scena dopo scena, come fosse secondo l’architettura della più feroce e inimmaginabile delle drammaturgie. Così si proteggono, i ragazzi. Pensi (pensate) che abbiano tutte le ragioni di farlo, e d’altra parte non ci si pente di averli coinvolti nella visione del telegiornale, per una sera almeno. Questo è il mondo, questo un terribile presente a partire dal quale i nostri figli prenderanno le mosse per impegnarsi a costruire un diverso futuro. Qualcosa devono pur saperla, non sono più bambini.

Nell’angoscia da cui siamo abitati, strattonati, la loro resistenza a informarsi è atteggiamento che anzi di tanto in tanto ci contraria: non possiamo impedirci di vederlo come una fuga da parte loro, un sottrarsi alla verità della vita che, non essendo più dei bambini, dovrebbero comunque cominciare a comprendere.

A tavola, mentre si cena, i figli ti/vi raccontano che a scuola un poco delle guerre con i professori si è parlato, commentato. A sentire i loro smozzicati resoconti però, non si capisce quanto quei professori abbiano parlato ai loro studenti sul serio o solo in parte. Loro anche, come adulti e insegnanti, macerati da stesso dilemma pedagogico: sino a che punto informare del clima funesto che viviamo, e quanto invece, anche, proteggere i ragazzi, tutelare un certo grado di spensieratezza necessario alla loro giovane età tenendoli lontani dall’eccesso di bruttura e disumanità che offusca i cieli del mondo e aggrava l’animo di chiunque sia capace di sentire? Non è occultando ai più giovani la buia verità del momento storico che li si aiuta a crescere, non è tenendoli all’oscuro e al riparo da tutto quanto accade che si evita loro di sentire l’angoscia che aleggia ovunque in queste settimane, insieme a un senso di dolore acutissimo per i tanti, tantissimi morti innocenti di questa (e delle altre) guerre.

Nemmeno però si può volere mettere a parte i ragazzi di tutto, costringerli ad assistere allo spettacolo di così tanta efferata, inutile crudeltà, obbligarli a respirare tanta apprensione a condividere le nostre angoscia e tristezza per le sorti del mondo. I più giovani sono scorza viva, pronti a soffrire e ferirsi con molto più di quel che noi adulti riusciamo a immaginare. Si ha un bel parlare del loro abbrutimento per eccesso di vita virtuale, di uno spleen annoiato che intorpidisce le loro adolescenze e quando più quando meno, le abbrutisce. Non tutto, anzi poco di questo è vero: le sensibilità dei più giovani sono al contrario molto pronunciate e acute, porose, in allerta. Preservarli da una mole esagerata di dolore e dalla nostra relativa angoscia di adulti non è solo una tentazione: anche un dovere come genitori.

Tutto questo odio e dolore che si respira li tocca nel profondo, ben più di quanto non tocchi noi, che con l’età una qualche scorza ce la siamo fatta. E così il dilemma pedagogico non si stempera e non si risolve. Mai come adesso vorremmo proteggere i nostri figli; mai come adesso sappiamo che quanto accade nel mondo, come che sia li attraversa, li turba, li fa crescere non certo nel modo che desidereremmo, ma crescere, e capire. Una volta di più, come adulti, si tratta di avere rispetto, dare fiducia: fiducia alla profondità del loro preadolescente e adolescente sentire, fiducia, anche, nelle barriere che loro innalzano per difendersi. Sostenerli in questo navigare a vista tra le sponde di un fiume in piena di malessere, odio, morte. Aspettando con loro che l’acqua si calmi, almeno un poco.

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