Weekend lungo a Londra. Il pretesto è vedere un incontro di calcio in uno stadio inglese, la premier league, il campionato più bello del mondo del gioco più bello del mondo.
Sì, lo so come la pensate. Il gioco del calcio non è più quello di una volta, i giocatori sono solo mercenari, troppo business, troppo divismo, troppo di troppo. Tutto vero, forse, ma, almeno per me, «quando arbitro fischia» e i fatidici 22 giovanotti in mutande cominciano a prendere a calci il pallone, è un richiamo irresistibile.
Mio genero voleva andarci con mio nipote Alessandro, il quale ha detto «ma viene anche il nonno?», potevo sottrarmi? e poi, perché avrei dovuto? Un incontro di calcio a Londra è uno dei 10 (beh, facciamo 100 almeno per guadagnare tempo) desideri da esaudire prima di tirare le cuoia, come si dice. (Tralascio gli altri 99 per innata discrezione).
Londra quindi, e la prima osservazione: ancora la guida sulla sinistra, con il volante a destra? Qual è il senso, se non un pervicace atteggiamento di presuntuoso provincialismo? Vogliamo poi parlare della necessità del passaporto con annessi controlli fastidiosi e code estenuanti? A Istanbul con la carta identità e a Londra con il passaporto? La compagnia di mio genero è stata poi, oltre che piacevolissima, foriera di novità. Per dire, ho esordito ingenuamente con «in Inghilterra c’è la sterlina, dobbiamo cambiare la moneta ricevendo occhiate di compatimento». «Non è necessario cambiare\portare i soldi, si paga tutto con l’iPhone», «ma un caffè?» «col telefonino»… Il gusto di vedere la banconota, il Pound, sentirne il fruscio, avvertirne il fascino? Niente. Anche la mia carta di credito antiquata e dileggiata. Tutto col telefonino.
I taxi hanno il POS, ovviamente, ma li prendono in pochi. Ormai si viaggia con Uber. Si paga la metà e le auto arrivano in pochi istanti, ovunque, anche nelle periferie più desolate. Autisti per lo più africani e di etnie astruse. Indiani e pakistani sembrano aver fatto il salto sociale.
Ma adesso andiamo alla partita, domenica, 16.30, Olympic stadium, West Ham contro Chelsea. Perché questa? Perché è interessante, uno dei derby di Londra. Da una parte il West Ham United squadra di un quartiere, Streetford, a nord-est della città.
Periferia dura e proletaria, working class. Dall’altra, il Chelsea, il quartiere più cool, i fighetti di King road e Sloane Square. Inutile chiedere per chi tifiamo e il West Ham ha vinto 3 a 1, una partita epica, l’ultima mezz’ora in 10 per una espulsione.
Lo stadio, 50\60.000 spettatori, non solo ordinatissimo, tutti comodamente seduti e larghi, con le scale perfettamente libere per consentire agli spettatori di rifornirsi frequentemente e con trasporto di enormi quantità di birra (ma vietato rigorosamente fumare). Lo spettatore davanti a noi è sceso per comprare un churro alla sua compagna e si è perso un goal bellissimo. Non ha fatto una piega.
Io, alla compagna, mia ovviamente, che me lo avesse incautamente chiesto, avrei staccato un orecchio… Dimenticavo, la tifoseria del West Ham negli anni 80 era tristemente famosa tanto da aver ispirato il celebre film Hooligans. Adesso, dopo la cura della Thatcher, hooligans non ce ne sono più e la tifoseria è tranquilla anche se calda. È gemellata con la Lazio ma, ci tengono a precisarlo, senza motivazioni politiche. Anzi. È per via che, dal 2001 al 2003, ci ha giocato Paolo Di Canio, un buon giocatore della Lazio. Fascistissimo per carità, ma di quelli buoni (ce ne sono, ve lo assicuro, ne ho qualcuno tra colleghi e amici).
Il logo del West Ham, a conferma della vocazione proletaria, è due martelli incrociati (manca però la falce) e i tifosi sono gli hammers, i martelli.
Tutto qui se la divagazione turistico-calcistica vi ha interessato. Mio nipote Alessandro, che temo di aver contagiato di infezione tifoidea, felicissimo ed entusiasta. Il padre ed io, più di lui, per essegli stati insieme. Ed insieme stiamo progettando la prossima.