Sabato 06 Settembre 2025 | 18:51

Papere, correnti e inquinamento

 
Alessandro Vanoli

Reporter:

Alessandro Vanoli

Papere, correnti e inquinamento

Il nostro mare pieno di plastica: un materiale che non si decompone ma si frammenta in pezzettini sempre più piccoli

Sabato 01 Luglio 2023, 12:59

L’estate è cominciata: il caldo, le spiagge affollate, i bagni, i giochi... e l’immondizia. Sono sicuro che ce l’avete sotto gli occhi anche ora: camminando sul bagnasciuga qualcosa la vedrete: un pezzo di rete, un giocattolo rotto, un sacchetto, una bottiglietta, di plastica. Piccole testimonianze di una circolazione planetaria di rifiuti. Una storia che oggi conosciamo sin troppo bene, anche grazie allo strano caso di alcuni piccoli giocattoli che un giorno sfidarono gli oceani. Ve lo racconto.

Tutto cominciò il 10 gennaio 1992 con delle paperelle, quelle di plastica che servono per il bagno dei bambini, quelle che in inglese si chiamano Friendly Floatees. Ma non alcune paperelle: una nave intera. Una nave cargo, che tra le tante cose trasportava settemiladuecento confezioni contenenti, per la precisione, una paperella gialla, un castoro rosso, una tartaruga azzurra e una ranocchia verde. La nave – si chiamava Ever Laurel – salpò dal porto di Hong Kong alla volta degli Stati Uniti, ma incontrò una tempesta e durante il suo attraversamento perse in mare ben tre container di papere e altri giocattoli, per un totale di 28.800 Friendly Floatees, che cominciarono a galleggiare per l’oceano.

Può sembrare comico. Ma i ricercatori intuirono quasi subito il potenziale della notizia. E cominciarono a inseguire le papere per mezzo mondo. Le prime furono ritrovate sulle spiagge dell’Alaska dopo qualche mese, le altre approdarono in Sud America, Australia e Scozia addirittura. Si poté stabilire che per completare il circuito delle correnti oceaniche ci volevano circa tre anni. E soprattutto si capì che gli oceani erano davvero tutti collegati. Correnti calde che viaggiano dall’equatore ai poli e che innalzano la temperatura dell’acqua e dell’atmosfera (la corrente del Golfo è probabilmente la più famosa). Correnti fredde, come quella che si genera nel Pacifico meridionale e tocca l’America Latina influenzandone il clima. E via dicendo. Come fossero grandi autostrade, in quelle correnti scorre di tutto: animali migratori, calore e, purtroppo, inquinamento.

Tutto collegato appunto: acqua, animali e fattori inquinanti. Il tutto divenne ancora più evidente quando si scoprì che parecchie papere erano finite nell’isola di plastica che staziona nel Pacifico.

Attraversa le acque dalla costa occidentale del Nord America al Giappone, ma non è una vera isola. Si tratta piuttosto di una zona dove detriti di varia natura tendono a raccogliersi per effetto delle correnti. Anzi, vi sono più precisamente due chiazze differenti: una occidentale, vicino al Giappone, e una orientale, situata tra le Hawaii e la California. Spesso se ne parla come se fosse una vera e propria isola di plastica, ma non è così: è più che altro una zona di alta concentrazione, una zuppa se volete. Il fenomeno però è forse l’elemento più evidente e noto di un problema enorme. Siamo letteralmente sommersi dalla plastica. Una spedizione nella Fossa delle Marianne, nel punto più profondo degli oceani, è riuscita a trovare un sacchetto pure lì. Chiunque di voi lo può vedere chiaramente anche facendo solo una breve gita in mare: la plastica è ovunque, galleggia, si arena sulla spiaggia, si incastra tra i fondali.

Ed è in ogni mare. Nel pacifico come sulle coste del nostro Adriatico. L’ottanta per cento circa deriva da scarichi urbani, esondazioni di fognature, turisti sulle spiagge, inadeguato smaltimento dei rifiuti, attività industriali, edilizia, scarichi illegali e via dicendo. Arriva in mare con i grandi fiumi: ogni anno si riversano negli oceani in media otto milioni di tonnellate di plastica; come se ogni minuto un camion della spazzatura riversasse tutto il suo contenuto in mare. Ogni minuto per trecentosessantacinque giorni all’anno…

E la cosa ancora più pesante è che la plastica non si decompone ma si frammenta in pezzettini sempre più piccoli (micro/nano plastiche). Questi pezzettini in mare si comportano come spugne e assorbono agenti chimici come per esempio pesticidi ed erbicidi presenti in acqua. Oltre a questi agenti chimici le piccole particelle di plastica assorbono anche gli «odori del mare» e per questo motivo, unito ai colori vivaci, vengono scambiate da molti animali marini per cibo. Così la plastica entra nella catena alimentare fino ad arrivare pure sulle nostre tavole.

Questa estate, ogni volta che vedrete galleggiare in mare un sacchetto o un giocattolo, pensateci: quegli oggetti, proprio come ogni paperella perduta in mare, hanno appena cominciato il loro viaggio. E il loro viaggio durerà secoli… forse, che dite, è meglio raccoglierla quella bottiglietta sulla sabbia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)