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La coscienza artificiale, sogno e incubo del nostro futuro

 
Gianni Sebastiano

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Gianni Sebastiano

la coscienza artificiale sogno e incubo del nostro futuro

Abbiamo metabolizzato l’idea che le macchine dispongano di una propria intelligenza ma non riusciamo ad accettare l’idea di una coscienza artificiale

Mercoledì 24 Maggio 2023, 13:00

Ha cominciato Sam Altman, fondatore di OpenAI - la startup creatrice di ChatGPT - con lo Scenario Terminator, seguito da ricercatori e manager che hanno chiesto di fermare l’addestramento di tutte le Intelligenze Artificiali. Fra loro, Yuval Noah Harari, fra i più preoccupati sugli sviluppi della AGI, l’intelligenza artificiale generale.

Comprensibile. Non è più sufficiente che l’IA sia presente in ogni apparecchio che utilizziamo, in ogni espressione del digitale, nell’economia, nel lavoro, nelle strategie. Ora vogliamo che si emozioni con noi. È il bisogno che sviluppiamo fin da bambini, quando parliamo con bambole e soldatini. Vogliamo che il mondo si relazioni a noi con le categorie della comunicazione dei nostri simili. È la necessità di sentirci compresi.

Chatbot e avatar usano toni di voce che si adattano alle nostre emozioni, le loro espressioni facciali, la gestualità, sono coerenti con la conversazione.

Questo chiediamo, questo la tecnologia ci offre. E allo stesso tempo ne abbiamo paura: un’ondata di nuove possibilità, la terza.

La prima, agli inizi degli anni Cinquanta, con il calcolatore di Alan Turing e John von Neumann quando apparve evidente che non sarebbe stato confinato all’elaborazione dei soli dati numerici. Artificial Intelligence esordì con John McCarthy durante il famoso convegno tenutosi a Darmouth nel 1956.

La seconda ondata circa trent’anni dopo con i Sistemi Esperti e le Reti Neurali, più tardi, in grado di risolvere problemi complessi, come ad esempio diagnosi mediche o valutazioni di investimenti finanziari.

E oggi? 100 ore di video caricati su YouTube, 3 milioni di post su Facebook, 200 milioni di messaggi e-mail inviati, 50.000 App scaricate dagli utenti di Apple. Tutto in un solo minuto.

La disponibilità di enormi quantità di dati: miliardi di dati elaborati da milioni di sistemi interconnessi, grandi computer universitari, tablet, smartphone, automobili, telecamere, droni… L’IA non ha mai avuto accesso a così tante informazioni, da così tante fonti connesse. Così sta imparando. Impara dalla sua stessa esperienza, crea modelli di immagini, impronte sonore, testi. Elabora strategie, sceglie quelle che portano al risultato con il minimo consumo di energia.

L’IA pervade la nostra vita quotidiana molto più di quanto pensiamo. E questo ci preoccupa. Temiamo che l’IA ci sovrasti, possa cioè sviluppare comportamenti coscienti che portino alla elaborazione autonoma di un obiettivo per perseguirlo. Magari un obiettivo malvagio.

Abbiamo metabolizzato l’idea che le macchine dispongano di una propria intelligenza ma non riusciamo ad accettare l’idea di una coscienza artificiale.

Ma la curiosità, si sa, indaga su ciò che si teme. Il timore di perdere il controllo del nostro mondo, di non essere padroni di noi stessi.

La coscienza - intesa non in senso morale o religioso - è la capacità del cervello di autodefinire un soggetto unitario in grado di fare esperienza di sé e del mondo, produrre spiegazioni e obiettivi, valori soggettivi e sensazioni.

Per il momento possiamo stare tranquilli. Finché non si conoscerà precisamente come funziona il cervello e quali meccanismi sottostanno ai processi mentali sarà arduo creare un essere a nostra immagine e somiglianza.

Ma il campo è aperto. Gli studi sulla Artificial Consciousness hanno preso avvio in un convegno, a Tucson del 1994. Da allora, la coscienza non è più oggetto di indagine esclusiva della filosofia bensì un tema scientifico.

Non più, dunque, separazione fra sostanza pensante - res cogitans - e sostanza estesa - res extensa - ma interessenze da indagare per riprodurle con silicio e nichel.

Strada tracciata ma in salita. Il modo con cui è percepito il risultato del nostro agire può indirizzare molti significati: espressioni linguistiche, odori, immagini sono associati a sensazioni. Ciò aiuta a conoscere noi stessi, ma non significa la stessa cosa per tutti.

Come faremmo a misurare il successo nell’avere creato un essere umano artificiale se non abbiamo il metro per misurarlo? Quale funzione ha l’intero organismo in tutto questo? Provare dolore, reagire agli stimoli fisici, dipende dall’avere una certa fisicità, una certa struttura organica, di essere fatti di carne, sangue, terminazioni nervose. Il corpo è il tramite di ogni esperienza, anche quella che sembra essere più soggettiva.

Può essere che un’entità costruita in altro modo possa provare dolore se sottoposta a determinati stimoli, ma come saremmo certi che possa trattarsi proprio di quel dolore, o di qualcosa che possa definirsi dolore?

Non si può escludere che in futuro, saremo in grado di realizzare un essere molto simile all’uomo, ma è altrettanto probabile che pur indistinguibile da quello umano sia sostanzialmente estraneo al nostro modo di sentire e di fare esperienza, di esserne consapevoli.

Una creatura artificiale dotata di coscienza, sentimenti, volontà, non sembra aspettarci dietro l’angolo. Per ora è un sogno. O un incubo. Per ora.

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