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Festa del papà 2023, ora salviamo quel che resta del padre

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Festa del papà 2023, ora salviamo quel che resta del padre

Quando del papà cade la Festa, per evitare di chiudere tutto in una zeppola, conviene farsi quella domanda che lo psicanalista Massimo Recalcati pone a titolo del suo libro più celebre: cosa resta del padre?

Domenica 19 Marzo 2023, 11:00

21 Aprile 2023, 21:44

Almeno Dio e Marx, secondo la famosa battuta di Ionesco, sono morti. E quindi hanno avuto le loro onoranze funebri e i loro de profundis, pure autorevoli. Il padre, invece, non è morto. È «evaporato» per usare una celebre espressione dello psichiatra Jacques Lacan, s’è dissolto, dice lui, nel momento in cui il Sessantotto ne ha definitivamente abolito l’autorità simbolica. E allora, quando del papà cade la Festa, per evitare di chiudere tutto in una zeppola, conviene farsi quella domanda che lo psicanalista Massimo Recalcati pone a titolo del suo libro più celebre: cosa resta del padre?

A conti fatti, resta poco o nulla. Il padre, e non da oggi, è sotto attacco culturale. Nel suo nome c’è la radice di tutti i mali del presente a cominciare da quel «patriarcato» che si cerca ancora di debellare a ogni costo (ma dov’è?) imputandogli buona parte delle storture contemporanee. Ma il padre occhieggia anche alla patria (che, appunto, è la terra dei padri), parola dal retrogusto insopportabilmente fascista, a cui qualcuno suggerisce di sostituire «matria». Non casualmente sempre Lacan, quello di prima, rileggeva nei totalitarismi del Novecento il tentativo titanico di restaurare la figura declinante del padre. Il fascismo c’entra sempre. Se poi ci mettiamo che il padre, oltre a essere uomo, è pure (presumibilmente) etero e magari bianco, addio. Si apra la battuta di caccia grossa.

Dunque, per sopravvivere in questa giungla di scomuniche, il padre s’è fatto «mammo», ha reso la propria figura intercambiabile con quella della donna, in un menage familiare che diventa fluido, liquido. Postmoderno. Uno vale uno. E così se l’è cavata. Anzi si è preso pure qualche applauso, mostrandosi più attivo e più presente. Il che, oggettivamente, è una bene nella misura in cui nessuno rimpiange il padre-padrone da i lunghi baffi, il despota autoritario e non autorevole, rispettato per paura e non per moto spontaneo. Ma con l’acqua sporca, al solito, è scivolato via pure il bambino. E quindi tanti saluti alla «figura separatrice» (Bernard Muldworf) che portava «la società in famiglia» rompendo la bolla madre-figlio, quella in cui al piccolo tutto è concesso e tutto è permesso, e costringendo quest’ultimo a confrontarsi col mondo esterno. E quindi con il limite, altra parolaccia in un mondo di narcisisti che confondono diritti e desideri.

Il nuovo papà, che è quasi una mamma, ha perso però l’antico distacco. Non ha più «distanza» dal figlio e dalla quotidianità che li lega. Se glielo porti via, non vive più. Lo racconta il dramma quotidiano dei padri separati. In Italia sono quattro milioni e, di questi, quasi 800mila vivono in uno stato di povertà indotto dalle condizioni della separazione che, il più delle volte, pendono tutte da una parte. Costretti ad abbandonare casa (che magari è la propria) e a provvedere a obblighi di mantenimento spesso insostenibili, sommano il dramma materiale a quello psicologico.

Non un vago dispiacere, o un generico accenno depressivo, ma un vero e proprio buco nero, diventato voragine nei mesi bui del lockdown in cui gli spazi per incontrare i figli si sono contratti ulteriormente (mentre, sia detto per inciso, i ristori non arrivavano e gli assegni partivano). E tutto questo ha un prezzo: oltre 200 suicidi l’anno. Naturalmente, più che dolersi per quanto accade o cercare qualche soluzione, nei salotti della «minoranza rumorosa», cioè quelli che fanno opinione, si passa il tempo a sostenere che non sia vero, che il dato sia privo di fonti e di riscontro.

Una sorta di mantra sensazionalistico ripetuto ad arte. In realtà una fonte ufficiale c’è, ed è l’Eures, ma ha smesso di produrre questo genere di numeri quasi quindici anni fa. Non vanno più di moda. Anzi, sono diventati pericolosi. Vuoi vedere che a furia di denunciare le condizioni in cui vivono i padri si finisce per dimenticarsi dei femminicidi? In un mondo razionale le due cose non dovrebbero escludersi. Così come il femminicidio non dovrebbe escludere, o mettere in ombra, il «maschicidio», parola che nemmeno esiste ma dovrebbe perché le donne che odiano gli uomini, e li uccidono, sono una realtà e non una fantasia da romanzo svedese. Ma di razionale, nel mondo politicamente corretto, si sa, non c’è nulla.

Certo, la lagna perpetua non aiuta. Non si tratta di «boldrinizzare» la paternità, rischiando pure di renderla odiosa. Bensì di porre un problema di ordine culturale e giuridico che prima o poi andrà affrontato.

Le zeppole sono buone ma ora salviamo il padre. O quello che ne resta.

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