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Il caso Dalla Chiesa insegna; nella lotta alla mafia mai abbassare la guardia

 
Gaetano Quagliariello

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Gaetano Quagliariello

Il caso Dalla Chiesa insegna; nella lotta alla mafia mai abbassare la guardia

È stata notata la coincidenza per la quale Matteo Messina Denaro è stato arrestato proprio nei giorni in cui cadeva l’anniversario della nascita di Paolo Borsellino. C’è però un’altra coincidenza, per alcuni versi forse ancor più significativa, che dev’essere evidenziata

Sabato 21 Gennaio 2023, 14:47

18:53

È stata notata la coincidenza per la quale Matteo Messina Denaro è stato arrestato proprio nei giorni in cui cadeva l’anniversario della nascita di Paolo Borsellino. C’è però un’altra coincidenza, per alcuni versi forse ancor più significativa, che dev’essere evidenziata.

In questi stessi giorni è stata trasmessa sulle reti della televisione di Stato una fiction dedicata a un’altra vittima illustre della mafia, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. La ricostruzione che essa propone ci ricorda, tra l’altro, che il «metodo Dalla Chiesa» nella lotta all’eversione (quello a cui ha fatto esplicito riferimento chi ha catturato Messina Denaro) fu sperimentato per la prima volta all’inizio degli anni Settanta per combattere il fenomeno allora nascente delle Brigate Rosse.

Nel 1974, però, quel tentativo lo si volle inopinatamente interrompere. Al Generale furono assegnate nuove funzioni e così le Brigate Rosse potettero riprendere fiato, con tutto ciò che ne conseguì.

La storia non si fa né con i «se» né con i «ma»; per questo resta solo un’ipotesi che nel caso in cui a Dalla Chiesa e ai suoi uomini fosse stata concessa la possibilità di proseguire nell’azione intrapresa, l’Italia non avrebbe conosciuto uno dei suoi maggiori traumi: quello del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro. Invece, è un fatto incontrovertibile che rimuovere Dalla Chiesa da quell’incarico fu un errore, al quale tardivamente si provò a riparare.

Nei giorni della cattura di Matteo Messina Denaro, alla luce di quel precedente, vogliamo seguire lo stesso criterio: attenerci unicamente ai fatti, senza perderci in ipotesi, dietrologie, sospetti. E i fatti, per l’essenziale, ad oggi sono questi:

1) lo Stato con la cattura del latitante ha conseguito un eccezionale successo. Quando nel 2016 i Pubblici Ministeri Sava e Paci chiesero e ottennero il rinvio a giudizio nei confronti di Matteo Messina Denaro per le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, quell’uomo era fatto di nebbia: niente più che un fantasma. Nei giorni scorsi per quel processo si è svolta un’udienza e il «grande imputato» non si è potuto presentare in aula. Egli , però, oggi non è più un fantasma ma una persona in carne ed ossa, certamente malato ma che, assicurato alla giustizia, potrà essere interrogato, si potrà difendere e, a tempo debito, potrà essere condannato in un regolare processo.

2) Un altro fatto è che presto la mafia, che ha regole che non ammettono deroghe, avrà un altro capo. Messina Denaro è stato colui il quale ha portato alle estreme conseguenze il mutamento genetico dell’organizzazione iniziato da Bernardo Provenzano. Questo cambiamento ha spinto la mafia a perdere ogni sostanza identitaria, circostanza che però le ha consentito di approdare nei territori della modernità: quelli che hanno a che fare con l’imprenditoria, il trasferimento dei capitali, la digitalizzazione. Questo spiega, tra l’altro, perché il suo consenso diffuso sia drammaticamente crollato: se, in occasione dell’arresto del boss, è giusto ricordare le connivenze e le connessioni con la società civile di cui lui ha sicuramente potuto godere in trent’anni di latitanza, non bisognerebbe dimenticare come anche in Sicilia si stia sviluppando un sentimento di ostilità nei confronti del fenomeno mafioso palesatosi, tra l’altro, negli applausi ai Carabinieri quando è avvenuto l’arresto.

3) Va a questo punto considerato un ultimo fatto, forse il più importante. La nuova mafia, per le caratteristiche che Matteo Denaro gli ha impresso, è molto più indefinita, sfuggente, difficile da combattere. È assai probabile che anche chi la guiderà dopo di lui vorrà proseguire lungo lo stesso percorso. Un successo è stato certamente conseguito ma considerarlo definitivo potrebbe rivelarsi un errore fatale.

Serva da lezione e da ammonimento quello che accadde al Generale Dalla Chiesa: invece di provare a sminuire e a dubitare dei risultati e dei successi conseguiti , la politica, senza distinzioni di parte, sappia assicurare ai servitori dello Stato gli strumenti e i mezzi per andare avanti. Sia vietato, questa volta, abbassare la guardia.

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