Venerdì 05 Settembre 2025 | 23:51

La sfida Ue al petrolio russo tra rischi finanziari e l'ipotesi della flotta ombra

 
Angela Stefania Bergantino

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Angela Stefania Bergantino

La sfida Ue al petrolio russo tra rischi finanziari e l'ipotesi della flotta ombra

Venerdì scorso l’Unione europea è riuscita a trovare un accordo e ha fissato il tetto per la commercializzazione del petrolio russo, denominato «Urals», a 60 dollari al barile

Lunedì 05 Dicembre 2022, 14:14

Venerdì scorso l’Unione europea è riuscita a trovare un accordo e ha fissato il tetto per la commercializzazione del petrolio russo, denominato «Urals», a 60 dollari al barile. Da oggi, quindi, le forniture russe di petrolio via nave – perché il cap non si applica alle forniture via terra, che comunque sono limitatissime – non potranno essere pagate più di questa cifra. Non si tratta di un limite eccessivo: a tutt’oggi il petrolio russo si scambia a circa 67 dollari, ben al di sotto del Brent, il petrolio del mare del Nord, che viaggia sugli 87 dollari al barile.

La misura ha avuto una gestazione molto lunga per via di posizioni piuttosto differenziate tra Paesi che volevano soluzioni molto più punitive per la Russia, fino a 30-35 dollari al barile, e coloro che temevano che tale tetto potesse generare uno shock nei mercati mondiali. Poi ci sono Paesi come Cipro, Malta e Grecia, le cui flotte trasportano il petrolio russo nei porti europei, fortemente ostili alla misura. Gran parte delle compagnie che gestiscono il traffico marittimo sono infatti europee: la sola bandiera di Atene sventola sul 55% delle navi che trasportano il petrolio russo. Anche i principali assicuratori per questi carichi hanno sede nell’Unione Europea e nel Regno Unito, e i trasporti che non rispetteranno il limite di prezzo non potranno essere assicurati, rendendo di fatto impossibile il viaggio.

La misura è stata pensata innanzitutto per ridurre le entrate petrolifere di Mosca, incidere sulle sue finanze e limitarne la capacità di proseguire nella guerra con Ucraina. È, però, anche un tentativo di bilanciare i prezzi dell’energia, mantenendone sotto controllo l’andamento attraverso il cap, che dovrebbe essere aggiornato ogni due mesi, rimanendo di almeno il 5% al di sotto dei prezzi di mercato.

C’è grande consapevolezza sui rischi di questa misura. Il problema più grande è la potenziale impennata incontrollabile dei prezzi mondiali dei combustibili fossili, nel caso in cui la Russia decidesse di interromperne la fornitura. Sebbene tale reazione sia teoricamente possibile e possa essere attuata in breve termine, sarebbe per la Russia un’opzione molto difficile da mantenere nel lungo periodo, poiché l’esaurimento delle riserve di liquidità sarebbe drammatico. Pur tuttavia, la preoccupazione rimane.

Il price-cap europeo sul petrolio ha innescato una reazione a catena sul mercato globale. Grande attenzione si sta focalizzando su ciò che deciderà l’Opec+ – il cartello dei principali paesi produttori di petrolio, con l’aggiunta della Russia – che ha già annunciato l’intenzione di tagliare la produzione di due milioni di barili al giorno nel tentativo di spingere i prezzi al rialzo. Si tratta di circa il 2% del consumo globale, che è pari a poco meno di 100 milioni di barili al giorno, ma come si è visto nei mesi scorsi, in un mercato così volatile basta anche solo l’effetto-annuncio a far volare i prezzi. Basteranno le contromisure che già da qualche settimana l’Europa e gli Stati Uniti stanno mettendo in piedi? Questi ultimi, per evitare che il costo della benzina salga alle stelle, hanno ridotto le riserve strategiche e persino autorizzato la ripresa dell’importazione del petrolio venezuelano.

Consapevole delle intenzioni dell’Europa, la Russia, le cui esportazioni dipendono dalle petroliere straniere, negli ultimi mesi si è procurata sul mercato globale vecchie petroliere aumentando la sua flotta di un centinaio di scafi. L’intenzione pare quella di mettere in mare una flotta «ombra», magari battente bandiere diverse da quella della Federazione, in modo da aggirare il problema dell’assicurazione dei carichi da parte di istituzioni finanziarie estere. Non è facile individuare la cosiddetta true ownership di una nave, cioè la proprietà reale, perché il settore marittimo è per definizione particolarmente mobile. Oppure, per aggirare le misure restrittive, è sufficiente che la nave di un Paese terzo carichi il petrolio in Russia, lo faccia raffinare altrove e lo rivenda quindi in Europa, magari attraverso al Turchia. Oltre alla possibilità di vanificare le decisioni europee, c’è poi la preoccupazione, non secondaria, che i nostri mari si riempiano di vecchie carrette piene di petrolio.

Insomma, quella del price-cap europeo sul prezzo del petrolio russo è una mossa impegnativa nel risiko dell’economia mondiale.

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