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Ma in Italia manca una forza politica realmente socialista

 
Michele Laforgia

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Michele Laforgia

Ma in Italia manca una forza politica realmente socialista

Di chi è, allora, la colpa? Sarebbe facile prendersela con gli errori tattici del centrosinistra, con la scelta autolesionista di candidare nei listini bloccati la nomenclatura – com’è ovvio, prevalentemente maschile – e mandare allo sbaraglio i volontari e le volontarie nei collegi uninominali

Domenica 02 Ottobre 2022, 13:25

La battaglia di Stalingrado, com’è noto, non fu soltanto l’inizio della fine per le forze dell’Asse. Fu una terribile tragedia, che lasciò sul terreno oltre un milione di morti. La città, dopo la Seconda Guerra Mondiale, era ridotta a uno spettrale cumulo di macerie. Non vorremmo davvero che la nostra regione e il nostro Paese apparissero come Stalingrado, dopo il voto del 25 settembre.

L’ampia affermazione elettorale delle destre – stavolta ampiamente prevista, anche dai sondaggi - è certamente una sconfitta drammatica, ma non per le ragioni agitate un po’ maldestramente alla vigilia del voto. All’orizzonte non c’è il fascismo: Giorgia Meloni non è Benito Mussolini e, onestamente, sarà difficile che il suo governo possa far peggio di Berlusconi e Previti. Semmai, il dato inquietante è rappresentato dallo spostamento a destra, anzi all’estrema destra, di milioni di elettori.

Di chi è, allora, la colpa? Sarebbe facile prendersela con gli errori tattici del centrosinistra, con la scelta autolesionista di candidare nei listini bloccati la nomenclatura – com’è ovvio, prevalentemente maschile – e mandare allo sbaraglio i volontari e le volontarie nei collegi uninominali, non avendo concluso un accordo elettorale che consentisse di competere con l’ampia coalizione delle destre. Alla Triplice Intesa hanno partecipato, con nonchalance, partiti al governo e all’opposizione, sovranisti ed europeisti, garantisti e fautori della giustizia sommaria. A sinistra, invece, hanno scambiato le elezioni politiche per un film di Rocky, riesumando gli occhi della tigre, come se uno sguardo potesse incantare gli elettori. Era ovvio che non sarebbero rimasti incantati.

In Puglia, poi, se è possibile abbiamo fatto di peggio: basterebbe pensare, oltre alle liste «invotabili», all’ennesimo cambio di casacca del plenipotenziario dell’Arpal, Massimo Cassano, e alla tardiva ammissione di colpa sulle aperture al Sindaco di estrema destra di Nardò da parte del Capo di gabinetto della regione, neoeletto al Parlamento nella inedita veste di esponente «civico».

Meglio tardi che mai, certo. Ma intanto la credibilità era persa, e con essa anche i voti, che alla lunga premiano la coerenza, non il trasformismo. Sarebbe il caso di dirlo, una volta per tutte.

Vincere le elezioni a qualsiasi costo serve solo a perpetuare il potere, non a costruire consenso.

Se non che, questa è solo una parte delle ragioni della sconfitta. Se il centrosinistra vede assottigliarsi i consensi, da anni, non dipende solo dai segretari e dalle scelte contingenti, ma dall’evaporazione della sua identità. Nella quale permane, in varie sfaccettature, una robusta eredità del centro democristiano, ma sembra essersi liquefatta la componente di sinistra, ridotta nella rappresentanza e pressochè assente nella azione politica. Se nel nostro Paese aumentano le diseguaglianze, le famiglie in condizioni di indigenza assoluta, la povertà educativa, i precari, la disoccupazione giovanile, il divario tra nord e sud, non è per effetto di un sortilegio, ma di politiche delle quali i partiti di centrosinistra sono ampiamente corresponsabili. Gli elettori hanno votato di conseguenza. Tra il rosso sbiadito e il nerofumo hanno scelto il nerofumo. E ora ci tocca un periodo di lunga e, speriamo, sana opposizione.

Occorre però essere chiari, e assumersi le responsabilità di quello che è accaduto. Non è ammissibile che nessuno riconosca gli errori e si discuta solo dei prossimi candidati, come a un concorso di bellezza. Per tornare a vincere, la sinistra non può limitarsi a cambiare nomi, simboli e segretari, ma deve riprendere il suo ruolo storico, che è quello di combattere le ingiustizie sociali e riscattare le classi subalterne, promuovere il lavoro, difendere le minoranze, affermare il valore della pace, tutelare i diritti civili, proteggere l’ambiente. Non basta dirsi riformisti e progressisti, se non si pensa al modello di società che vogliamo realizzare: riforme e progresso sono menzionati anche nei diktat della BCE.

Questo manca, da tempo, nel nostro Paese: una forza politica che ponga al centro del proprio programma il valore dell’uguaglianza. In altre parole, una forza autenticamente socialista, come esiste in quasi tutti i Paesi europei. Solo quando l’avremo realizzata, dentro o fuori il Pd, sarà possibile riproporre una alleanza di centrosinistra e riconquistare i voti perduti.

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