Comincia da oggi la collaborazione con la «Gazzetta» di Andrea Locatelli, professore associato di Elementi di Scienza Politica e Studi Strategici, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
In meno di dieci giorni Vladimir Putin è passato dal dichiarare il ritiro (seppur parziale) delle truppe stanziate al confine con l’Ucraina, all’invadere militarmente il paese. In particolare, dopo il riconoscimento dell’indipendenza delle regioni orientali, la Russia ha impresso un’accelerazione repentina all’«escalation». Questa scelta ha colto di sorpresa l’opinione pubblica e buona parte degli osservatori, ma soprattutto ha vanificato gli sforzi diplomatici dei paesi NATO, Stati Uniti in primis. Sarebbe ovviamente un errore giungere alla conclusione che la partita sia ormai chiusa e la vittoria del leader russo netta e definitiva. Tuttavia, un dato pare evidente: le minacce e le promesse che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno rivolto al Cremlino nelle ultime settimane non hanno sortito l’effetto sperato.
Da qui occorre ripartire per contenere l’azione russa. Le relazioni tra Washington e Mosca sono state improntate sul principio della deterrenza, ovvero la minaccia di imporre costi così rilevanti nel caso di un’aggressione all’Ucraina, da renderla irrazionale. Evidentemente, le minacce sono state giudicate dal Cremlino non sufficienti, o non credibili. Alla luce di queste considerazioni, la strategia di Putin non è affatto irrazionale come vorrebbero alcuni, ma al contrario dolorosamente efficace. L’avanzata militare non è un azzardo, ma è funzionale agli obiettivi del Cremlino sotto almeno tre aspetti: permetterà di sedersi al tavolo delle trattative a operazioni concluse da una posizione di superiorità; è una vittoria lampante nei confronti degli avversari occidentali, segnando nel modo più evidente il perimetro della propria influenza; lancia un messaggio interno all’«establishment» di Mosca, rinsaldando il suo ruolo di leader.
Certamente, rimangono molte incognite su quali siano i suoi obiettivi di lungo periodo – in fondo è proprio questa una delle carte che Putin sa utilizzare meglio – ma dalle informazioni che giungono in queste ore dall’Ucraina pare verosimile che l’azione russa sia guidata da un chiaro disegno. Le operazioni militari sembrano ricalcare molto fedelmente i piani militari diffusi a dicembre dall’intelligence americana: dalle informazioni che giungono in queste ore, oltre ad inchiodare sul fronte in Donbass gran parte dell’esercito ucraino, forze russe hanno preso il controllo dell’aeroporto di Hostomel, hanno attaccato con successo le capacità navali ucraine a Odessa e Mariupol e stanno conducendo una campagna aerea che potrebbe fare altrettanto delle difese aeree di Kiev. Se, come probabile, la resistenza che l’Ucraina potrà opporre sarà di breve durata, l’avanzata verso Kiev si concluderà in tempi brevi e permetterà alla Russia di dettare le condizioni del suo ritiro.
Alla luce degli eventi delle ultime ore, quindi, per i paesi occidentali non rimangono molte alternative. Per rendere la deterrenza efficace l’unica scelta possibile è alzare nuovamente la posta in gioco, con un impegno militare sul campo delle forze NATO. Significherebbe intervenire con uomini e mezzi per rallentare l’avanzata russa, ma si tratterebbe ovviamente dello scenario più pericoloso, poiché potrebbe facilmente portare l’escalation fuori controllo. È, secondo le dichiarazioni del Segretario Generale Jens Stoltenberg, un’opzione che l’alleanza non sta contemplando. Analogamente, anche le vie di mezzo difficilmente funzioneranno: nonostante l’enfasi che i vari governi stanno ponendo sugli effetti delle sanzioni – per quanto dure possano essere – la determinazione con cui l’avanzata russa sta procedendo verso Kiev lascia intendere che per Putin siano un costo che vale la pena pagare.
Non resta quindi che una terza alternativa, sicuramente quella più dura da digerire per l’Occidente, ma che nel lungo periodo potrebbe contenere le ambizioni del leader russo: data la superiorità delle forze sul campo di battaglia e l’impossibilità d’intervenire con successo, non resta che pensare a come evitare che questa dolorosa guerra possa costituire un precedente per altre potenze revisioniste: occorre rinsaldare la garanzia di sicurezza tra i paesi NATO (in particolare quelli orientali, più esposti alla minaccia russa) e – per quanto irrealistico possa sembrare ora – porre le basi per un nuovo rapporto competitivo con Mosca.