L’acciaio conta ancora, malgrado i problemi delle aziende italiane (l’ex Ilva su tutte) e le tensioni internazionali. È quanto emerge dallo studio Bilanci d’Acciaio 2022, ideato dall’Ufficio Studi siderweb, realizzato in collaborazione con i professori Claudio Teodori e Cristian Carini dell’Università degli Studi di Brescia, presentato ieri a Milano. Il dato che maggiormente balza agli occhi è quello relativo ai valori economici dell’acciaio nel 2021, ampiamente superiori a quelli del biennio precedente. La crescita del fatturato e del valore della produzione è stata molto alta nel 2021 rispetto all’anno prima, superiore al 60%. Appare evidente, però, che si tratta di una situazione straordinaria e non ripetibile perché sul finire del 2021 sono infatti apparsi sulla scena economica segnali di preoccupazione che hanno trovato ulteriore conferma e peggioramento nel 2022: le difficoltà di approvvigionamento nelle catene di fornitura globali, i fortissimi rincari dei beni energetici, la crescita dei prezzi delle materie prime. Problemi, soprattutto quello dell’energia, per i quali non si intravedono soluzioni strutturali almeno nel breve periodo.
L’analisi valuta la situazione reddituale, finanziaria e patrimoniale delle imprese siderurgiche nazionali attraverso la lettura e l’interpretazione dei dati dei bilanci di esercizio del triennio 2019-2021.
«I numeri di bilancio ci raccontano di un finale di 2020 e di un 2021 straordinari, ma siamo entrati nel tunnel dell’incertezza: in un mondo passato all’improvviso da decenni di deflazione all’inflazione galoppante; dai tassi zero a tassi che salgono come mai avevano fatto in passato; da materie prime tutto sommato a buon mercato a rincari violenti, con costi di energia e gas insostenibili per famiglie e imprese. Iniziamo a sentire i primi preoccupanti scricchiolii della gigantesca impalcatura che sostiene le nostre economie» spiega Emanuele Morandi, presidente di Siderweb.
I bilanci complessivamente analizzati sono oltre 5mila e coprono l’intera filiera siderurgica: produzione di acciaio e prima trasformazione, centri servizio, distribuzione, commercio di rottame e ferroleghe, taglio e lavorazione della lamiera, utilizzatori di acciaio.
Se il 2020 è stato un anno contraddistinto da un netto calo del giro d’affari del comparto, il 2021 ha visto una veloce ripresa delle attività. Il fatturato totale delle imprese della parte alta della filiera siderurgica (utilizzatori esclusi) nel 2021 è stato di 79,181 miliardi di euro (+61% rispetto al 2020). Il valore aggiunto è stato pari a 12,199 miliardi di euro (15,4% del fatturato), l’Ebitda (acronimo di Earning Before Interest Tax Depreciation Amortization e sinonimo di margine operativo lordo; si tratta di un indicatore di redditività che, rispetto all’utile d’esercizio, tiene separati alcuni costi). L’utile complessivo è salito a 3,544 miliardi di euro.
«L’evoluzione significativa del fatturato ha però generato effetti contenuti sull’incidenza relativa del valore aggiunto, che supera il 15%, manifestando un incremento di circa un punto percentuale sul triennio. A influire su questa dinamica vi sono, rispetto al 2019: l’espansione dei consumi di circa due punti percentuali (tre rispetto al 2020); la riduzione dei servizi superiore a un punto percentuale, in attesa dell’esplosione del 2022; l’incremento del magazzino. L’aumento del valore aggiunto è certamente positivo, anche se l’attesa era per una variazione maggiore; tuttavia, le imprese sono sempre più consapevoli della sua rilevanza per il successo competitivo e stanno mettendo in atto operazioni in questa direzione» sottolinea, invece, Claudio Teodori, docente dell’Università degli Studi di Brescia.
Nei primi 8 mesi del 2022 il comparto delle costruzioni, che assorbe circa il 35% del consumo di acciaio, è cresciuto del 15,1% in Italia (dopo un balzo del 32,4% nello stesso periodo del 2021) e del 3,8% nell’Unione europea.
L’andamento della produzione dell’automotive, che copre il 18% del consumo di acciaio, nello stesso periodo è calato del 3,5% in Italia e del 4,3% in Ue (+52,9% e +21,1% rispettivamente nello stesso periodo del 2021). Segno meno anche per prodotti in metallo (-2,6%), fabbricazione di tubi (-5,2%) e apparecchi domestici elettrici (-8,9%).
«Nella prima parte del 2022, il rallentamento della domanda di prodotti siderurgici da parte dei settori utilizzatori e la diminuzione degli spread fra prezzi di vendita dei prodotti e costi degli input hanno avuto un impatto negativo sul fatturato, sui margini e sulla redditività delle imprese della filiera siderurgica. Il tasso di crescita del fatturato su base annua dal 57,6% in maggio è sceso al 7,3% in luglio; la forte decelerazione della dinamica dei ricavi delle vendite si è associata a una riduzione dello spread fra costo di produzione dell’acciaio e il prezzo di vendita dei prodotti siderurgici, provocando un calo della redditività della gestione industriale. A risentirne maggiormente sono le imprese elettrosiderurgiche, più esposte alla crescita fuori controllo dei prezzi dell’energia elettrica e del gas» dice Gianfranco Tosini dell’Ufficio Studi siderweb.
La domanda di acciaio in Italia, inoltre, è prevista in calo del 3,6% nel 2022 e del 3% nel 2023, dopo la crescita del 30,4% nel 2021.
Siderweb, poi, ha sottoposto un questionario a un campione rappresentativo della filiera dell’acciaio nazionale (circa 70 imprese, appartenenti prevalentemente a tre comparti: 34% produzione, 14% centri servizio, 29% distribuzione). Le domande hanno riguardato le attese per i risultati di bilancio 2022 e le prospettive per il 2023. In particolare, è emerso che l’85% delle imprese considera la politica energetica italiana inesistente o non adeguata. In merito alle azioni da attuare, oltre la metà dei rispondenti ritiene necessario riconsiderare il nucleare, il 42% ridurre la dipendenza da singoli Paesi (non solo la Russia), il 43% auspica una riapertura dei giacimenti di gas italiani. L’impatto dei costi dell’energia è giudicato temporaneo, con un mantenimento di una parte dell’incremento di prezzo dal 35% dei rispondenti; il 43% ritiene sarà duraturo anche nel 2023.
ECCO I PLAYER PUGLIESI E LUCANI: CENTRO ACCIAI GUIDA LA CLASSIFICA
In bilanci d’acciaio 2022, c’è una sezione dedicata alle regioni e alle province, con i seguenti comparti oggetto di analisi: • Produzione (acciai comuni e legati, acciai inossidabili, fabbricazione di tubi, forgiatura, fusione di acciaio, fusione di ghisa, laminazione di semiprodotti, semiprodotti, stampaggio a caldo, trafilatura a freddo); centri servizio (barre, prodotti in inox, prodotti piani - coils e lamiere in acciaio al carbonio, tondo c.a., presagomatori); distribuzione (generalisti, specializzati prodotti inox, specializzati prodotti lunghi, specializzati prodotti piani, specializzati tubi, raccordi e curve); taglio e lavorazione della lamiera e infine commercio di rottame e ferroleghe. Leggendo i dati, riferiti all’anno 2021, emerge che la Puglia ha 23 aziende mentre 3 sono quelle lucane. Per la Puglia, il fatturato complessivo è pari a 336.406.526 euro, il valore aggiunto a 42.248.262 euro, il margine operativo lordo è stato di 24.668.864 euro, il risultato netto di 10.452.114 euro. Quanto alla suddivisione territoriale, Bari ha 14 aziende, la Bat 1, Foggia 2, Lecce 4, Taranto 2. A guidare la classifica dei fatturati è la barese Centro Acciai Inox srl (distributori) con 70.519.306 euro, seguita dalla Tecnoacciai srl (distributori) con 38.017.960 euro.
Si trovano tutte nella provincia di Matera, invece, le tre aziende lucane al centro dello studio. Il fatturato complessivo è pari a 7.424.681 euro, il valore aggiunto è stato di 1.242.708 euro, il margine operativo lordo di 420.712 euro, il risultato netto di 218.676.
Complessivamente, in Italia nel 2021 c’erano 1.788 aziende del settore acciaio, con un fatturato complessivo di 79.180.535.613 euro, un valore aggiunto di 12.199.430.730 euro, un margine operativo lordo di 7.142.245.564 euro, un risultato netto pari a 3.544.428.782 euro. L’anno precedente, il 2020, le aziende erano sempre 1788 ma con numeri decisamente più bassi: un fatturato pari a 49.195.957.906 euro, il valore aggiunto di 7.203.646.702 euro, il margine operativo lordo di 2.667.925.909 euro e il risultato netto di 310.820.386.
Nel 2022, il 50,7% delle imprese, secondo l’analisi condotta da Siderweb, prevede un aumento del fatturato, di cui il 12,3% inferiore al 10% e un altro 12,3% tra il 20 e il 30%. Nel 2023 si assiste a un rallentamento dello sviluppo: il 23,1% pensa di stabilizzare il giro d’affari; solo il 26,1% intravede un’ulteriore crescita. Rispetto ai risultati economici, nel 2022, l’incidenza del margine operativo lordo sul fatturato è inferiore al 10% nel 58% dei casi. Poco più di un decimo delle imprese ha un valore più che soddisfacente, superiore al 15%. La situazione peggiora ulteriormente nel 2023: i valori inferiori al 10% salgono al 71% delle rilevazioni (39% sotto il 5%). Quasi un’impresa su dieci teme di avere un flusso finanziario negativo.
Solo il 26% delle imprese ha confermato o incrementato i budget per il 2023; ben il 54% ritiene di dover rivedere sensibilmente i piani. Il primo posto è occupato dagli investimenti di ammodernamento, a evidenziare alcuni elementi di incertezza che portano a investire sull’esistente per estenderne la vita utile. Solo il 41% (contro il 68% dello scorso anno) ha indicato di attendersi un impatto soddisfacente o molto soddisfacente. Quasi il 30% ha espresso una valutazione negativa. Il 62% delle imprese considera urgente e necessario un piano strategico della siderurgia italiana. Quanto ai costi delle materie prime, il 28% delle imprese dichiara incrementi sopra il 50%, a cui si aggiunge il 31% che ha subito innalzamenti tra il 30% e il 50%. Sull’andamento futuro, la percezione è di forte preoccupazione: il 17% sostiene che l’incremento sia temporaneo e potrà essere in buona parte riassorbito, ma solo l’8% pensa che si potrà tornare ai prezzi ante 2021. Molte imprese (28%) prevedono un 2023 non dissimile dal 2022, mentre il 9% considera questo peggioramento strutturale.
ACCIAIERIE D'ITALIA IN UTILE, MENTRE ATTORNO SI SOFFRE
I numeri sono da capogiro. Ma sembrano non rispecchiare una realtà fatta di forniture pagate con il contagocce, impianti sempre più vetusti, prospettive industriali avvolte nell’incertezza, target produttivi - 6 milioni di tonnellate di acciaio nel 2022 - irrealizzabili, operai a stipendio ridotto a causa di ammortizzatori lunghi ormai non si sa quanti anni.
Eppure, nel 2021 Acciaierie d’Italia, la società partecipata dalla multinazionale ArcelorMittal e da Invitalia, braccio operativo del Ministero dell’Economia, ha messo a segno risultati economici di tutto riguardo, ai quali però evidentemente non c’è stato alcun seguito, stante la situazione dei giorni nostri.
L’edizione 2022 di «Bilanci d’acciaio» ha alzato il velo sulle performance economiche di Acciaierie d’Italia nel 2020 e nel 2021. I dati del 2020, il primo anno della pandemia, sono pesanti. La società amministrata da Lucia Morselli e presieduta da Franco Bernabè, ha messo insieme un fatturato di 1.618.553.173 euro, con un valore aggiunto di 170.298.385 euro, un margine operativo lordo negativo per 155.277.229 euro, conseguendo un risultato negativo lordo per 265.732.292 euro. Il totale dell’attivo era pari a 3.574.989.915 euro, con 1.589.006.070 euro di immobilizzazioni, 247.335.378 euro di patrimonio netto e 3.327.654.537 di mezzi di terzi.
Decisamente diversi, e migliori, i numeri del 2021, anno nel quale il fatturato è salito a 3.386.543.499, più che raddoppiando dunque rispetto ai 12 mesi precedenti, il valore aggiunto è stato pari a 585.273.366 euro, il margine operativo lordo è tornato positivo, attestandosi a 253.816.382 euro, il risultato netto è stato pari a 309.930.685 euro, con il totale dell’attivo di 5.861.859.310 (anche qui, quasi un raddoppio rispetto al 2020), immobilizzazioni per 1.659.411.097 euro, patrimonio netto per 557.266.063 euro (anche qui, valori più che raddoppiati rispetto ai 12 mesi precedenti) e 5.304.593.247 di mezzi di terzi.
I numeri del 2021, però, non sarebbero serviti a migliorare la situazione finanziaria di una società che richiede una robusta ricapitalizzazione (ben oltre il miliardo di euro per il quale Invitalia ha ricevuto apposita autorizzazione alla sottoscrizione da parte del governo Draghi) e soprattutto un deciso indirizzo industriale, anche per convincere la magistratura a dissequestrare gli impianti. Lo stabilimento siderurgico di Taranto continua a sfornare acciaio utilizzando il ciclo integrale tramite i 3 altiforni operativi (l’1, il 2 e il 4) che però in ragione della loro anzianità e della complessiva situazione impiantistica, vengono usati in maniera alternata, facendo rimanere lontanissimo il target produttivo di 6 milioni di tonnellate di acciaio nel 2022 che la Morselli aveva annunciato. Nel dettaglio, lo scorso 31 maggio Invitalia e ArcelorMittal hanno firmato la proroga all'accordo su Acciaierie d'Italia, dandosi altri due anni per la salita dello Stato dal 38 al 60% per 680 milioni, quanto serve per acquistare gli asset ora in affitto. In quella occasione l’amministratore delegato di Acciaierie d'Italia, Lucia Morselli ha confermato «gli obiettivi» per il 2022 a 5,7 milioni di tonnellate di acciaio prodotto. Quando alla fine dell’anno mancano appena due mesi, quell’obiettivo appare molto lontano.
Che farà il nuovo governo?