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«Dai buchi sulle conchiglie la prova scientifica: l’Adriatico sta morendo»

 
maRISA INGROSSO

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maRISA INGROSSO

«Dai buchi sulle conchiglie arriva la prova scientifica: il mar Adriatico sta morendo»

Uno studio internazionale è arrivato alla conclusione che la vita nell’Adriatico è in serio pericolo. Partendo dalle conchigliette che i bambini raccolgono sulla spiaggia...

Lunedì 30 Settembre 2024, 07:00

Partendo dalle conchigliette bucate che i bambini raccolgono sulla spiaggia per farne collanine, uno studio internazionale, è arrivato alla conclusione che la vita nell’Adriatico è in serio pericolo.

Del gruppo di scienziati (l’elenco completo è nel box in questa pagina; ndr) fanno parte paleontologi, biologi e zoologi da Europa, America e Nuova Zelanda. La ricerca si intitola: «L’interruzione delle interazioni predatore-preda causata dall’uomo nel Mar Adriatico settentrionale» ed è stata pubblicata mercoledì sulla rivista della Royal Society Proceedings of the Royal Society.

L’Adriatico, a partire dal nord e a scendere, è all’attenzione della Scienza perché è fragile, è «tra le regioni marine più fortemente alterate al mondo».

«Questa ricerca - spiega il professor Giuseppe Corriero, direttore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari - va a fare luce sul tema degli impatti ambientali dell’uomo, che incominciano a essere devastanti, analizzando un gruppo di animali poco noti ai più, invertebrati che vivono sotto la sabbia. Andando a guardare nei sedimenti, in questo studio hanno descritto i rapporti di predazione tra una lumaca marina e una serie di chiamiamole “vongolette”».

Cosa sono quei buchi?

«Sono i fori che lasciano le lumache. Quei buchi tondi e regolari che si vedono su vongole e telline spiaggiate, sono fatti da una lumaca che va sulla conchiglia e, posizionandosi con una specie di trapano chetinoso, una volta fatto il buco infila la cannuccia e si succhia la piccola vongola. Guardando le stratrigrafie di sedimenti, emerge in quale periodo ci sono più gusci bucati e quando meno. Così si capisce che in un periodo c’era più predazione e nell’altro no e si scopre che, più o meno negli Anni Cinquanta, che sono il picco di sviluppo del Paese, le varie condizioni indotte (dalla pesca all’inquinamento), hanno provocato un – si vede nella stratrigrafia – cambiamento brutale tra predatori e prede. Le lumachine sono scomparse e le vongoline, non avendo predatori, sono aumentate vertiginosamente. Se levi il leone, le zebre diventano tante; meccanismi banali ma, in un ambiente poco conosciuto, raccontano molto. Questa la sintesi».

Sintesi mirabile per semplicità. Mi pare, però, che ci sia in questo studio anche una conclusione “diagnostica” che deriva dall’utilizzare questi dati come un termometro dello stato di salute del Mar Adriatico. O no?

«Sono dati che ci dicono che la situazione nel mar Adriatico già dagli Anni Cinquanta registrava una spaventosissima ingerenza umana. Da allora a oggi, questi cambiamenti si sono susseguiti a velocità maggiore e adesso la situazione è profondamente diversa. Lo scenario che questo insieme di osservazioni suggeriscono è a tinte fosche, per dirla senza giri di parole. Questo impoverimento continuo delle comunità che noi operiamo e che nell’Adriatico viene registrato già dalla metà del secolo scorso, alla fine porta a una banalizzazione dei sistemi ambientali dove, invece di migliaia di specie che interagiscono, se ne trovano poche decine e, allora, il sistema ambientale si indebolisce anche di processi ecologici che sono quelli che fanno vivere noi».

L’Adriatico è un paziente grave nel Mediterraneo?

«Sì ma raccontarlo non è banale. E l’Adriatico è più fragile perché è una delle parti più confinate del Mediterraneo. Quindi le acque si scambiano più lentamente e si arricchiscono pure di vita più lentamente e gli impatti umani si osservano in maniera più marcata. L’Adriatico è una cartina tornasole di una situazione generale di tutto il Mediterraneo».

Ma così morirà e diverrà una sorta di pantano?

«Si appresta esattamente ad andare incontro a un brutale impoverimento di ricchezza di specie. Impatti drammatici».

Anche economici? Sul turismo per esempio?

«Se lei pensa che cose come il riscaldamento delle acque hanno stimolato in mezzo Adriatico mucillagini che hanno reso le acque non balneabili... Guardi stiamo sempre a rimandare più in là le tabelle con la riduzione delle emissioni... la pesca, la navigazione spinta, le prospezioni e ciò che concerne lo sviluppo energetico in mare, impattano sul mare e tutto messo insieme, in un paziente che è già grave, perché è malato da molti anni come ci dice questo studio, vuol dire che gli stiamo dando il colpo di grazia».

Ci vorrebbe un accordo internazionale per salvare l’Adriatico?

«Sì. Le politiche di gestione che dovrebbero riguardare tutti i comparti, dallo scarico delle acque alla pesca, all’uso della costa, andrebbero messe sotto un unico ombrello. Il trend è in quella direzione, ma la velocità è ridicola».

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