Domani Luciano Canfora compie il suo ottantesimo anno e abbiamo deciso di dedicare al genetliaco un momento di omaggio e pubblico incontro a un Autore al quale dobbiamo molto. Saranno con noi un’esperta di libri e biblioteche, Antonella Agnoli; lo storico Franco Cardini; il politico Gianni Cuperlo. Tre voci per cogliere alcuni dei campi di interesse e di intervento di Canfora. Senza alcuna pretesa di esaustività: molti temi – a partire da quelli di carattere filologico – resteranno fuori. Ma con l’ambizione di rendere almeno l’idea della latitudine della ricerca e della riflessione di un intellettuale che, fermi restando i punti di riferimento disciplinari e accademici, ha spaziato nelle diverse età storiche dall’antichità a oggi e modulato il suo acume critico su oggetti molto diversi. Una sorta di anti-modello in un mondo che, anche nel campo umanistico, è sempre più strattonato tra lo specialismo microscopico di chi fa ricerca e l’incompetenza tuttologica degli esperti da talk show.
Ci sembra inutile elencare, anche solo per cenni illustrativi, la sterminata produzione che Canfora, annidato nel suo studio di via Murat o in quello che fu il prestigioso Istituto di filologia classica dell’Ateneo di Bari, ha realizzato con molti editori oltre che con Laterza. Meglio tracciare un breve itinerario, rigorosamente legato ai rapporti con la Laterza, con alcuni titoli che segnano le tappe di un percorso che comincia esattamente cinquant’anni fa (un altro anniversario, dunque).
Con una premessa. La storia di Luciano Canfora con la Laterza, ha una preistoria degna di menzione. Come si usa dire al Sud, siamo «amici di famiglia» almeno dagli anni Trenta del secolo scorso. Il padre Fabrizio Canfora, venerato maestro di storia e filosofia nel liceo cittadino Quinto Orazio Flacco, è presente nel catalogo Laterza dal 1939 come curatore delle Lettere slave di Giuseppe Mazzini; fu assiduo frequentatore della Libreria Laterza e della villa di Giovanni Laterza dove si riunivano gli antifascisti baresi, talvolta con Benedetto Croce; fu eroe e ferito nei tragici eventi del 28 luglio 1943 quando un plotone badogliano menò strage in via Niccolò dell’Arca nel corteo che si dirigeva verso il carcere per festeggiare la liberazione dei prigionieri politici dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio. La madre, Rosa Cifarelli, anch’essa venerata maestra di lettere greche e latine nel liceo Quinto Orazio Flacco, era sorella di Michele Cifarelli, grande animatore dell’antifascismo barese e importante esponente del Partito d’Azione. Parliamo, dunque, di legami profondi, forgiati negli anni bui del Ventennio, non di ordinarie e civili relazioni mondane.
E tuttavia, nonostante queste premesse, non era scontato che nel 1972, esattamente cinquant’anni fa, l’Autore trentenne trovasse accoglienza in casa editrice col titolo Totalità e selezione nella storiografia classica. La decisione fu di Vito Laterza – non c’è dubbio – che ricevette la proposta a luglio e, con l’avallo – sembra – del grande Arnaldo Momigliano, pubblicò l’opera a settembre. A un altro libro, del 1974, seguì una lunga pausa nei rapporti. La storia – ci insegna Canfora – non ha un andamento lineare e uno sviluppo prevedibile. È probabile che gli orizzonti della casa editrice, impegnata nel suo slancio di trasformazione industriale, e quelli dell’autore, preso da lavori scientifici ma anche, per esempio, dall’impresa dei Quaderni di storia dell’editrice barese Dedalo, semplicemente non abbiano collimato per oltre un decennio. La ripresa del contatto editoriale, al di là di episodi marginali, è della metà degli anni 1980 quando esce nella collezione scolastica Laterza la Storia della letteratura greca: ancora una volta, agli atti di archivio, l’impulso è di Vito Laterza, ma certo avrà contato molto la spinta dell’antichista Vittoria Calvani, al tempo direttrice editoriale per la scuola, e di Andrea Giardina, allora giovanissimo autore, studioso e consulente che in quegli anni riformulava il profilo della Laterza (e non solo) nel campo degli studi sul mondo antico.
Dopo di allora – senza indugiare sui dettagli – due fasi. La prima sino alla fine degli anni Novanta vede il ritorno in forze di Canfora sui temi che sono di sua stretta competenza accademica, a partire dalla curatela della tucididea Guerra del Peloponneso del 1986. Opere di pregio indiscusso, ma certamente indirizzate a un pubblico di specialisti. La seconda vede ancora una volta Vito Laterza dare slancio al lavoro dell’Autore: partendo dalla lettura di un suo articolo sul «Corriere della Sera», gli chiede un libro su Giulio Cesare. Nel 1999 esce Giulio Cesare. Il dittatore democratico: un grande successo in libreria e anche internazionale. È l’inizio di una fortunata serie di titoli che continuerà, dopo la scomparsa di Vito nel 2001. Luciano Canfora darà uno splendido ritratto di Vito Laterza, al teatro Piccinni, nel settembre 2001 (primo centenario della casa editrice), alla presenza del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Scomparso Vito, l’orizzonte si allarga proseguendo con titoli di largo respiro sul mondo antico ma inanellando, a partire da Critica della retorica democratica (2002) fino al recente La democrazia dei signori (2022, un altro anniversario?), una serie di saggi, tesi tra antichità e contemporaneità, sullo smascheramento dei meccanismi dell’ideologia e delle istituzioni democratiche. Non solo: nel 2007, cioè sin quasi dagli esordi delle Lezioni di storia, Canfora si rivela, con 19 agosto 43 a.C. Ottaviano e la prima «marcia su Roma», un conferenziere straordinariamente brillante, capace di ammaliare folte platee senza concedere un palmo a una divulgazione semplificante. Non è dunque un caso se da quindici anni i principali teatri italiani registrano il tutto-esaurito al solo richiamo del nome del nostro ottuagenario.
E dunque? Come concludere questa carrellata di omaggio a uno dei più prestigiosi autori Laterza con il plus – per quel che vale quando ci si rivolge al mondo – della conterraneità? Nel modo più semplice: auguri, Luciano; grazie, Luciano. Non solo per i successi che ci hai dato ma anche per aver fornito solidi apporti al catalogo Laterza, il patrimonio più prezioso della casa editrice. Insieme agli autori e alle autrici, naturalmente. Come ci è stato tramandato e come il pezzo di strada percorso insieme insegna e ci ricorda.
«Spesso controcorrente per far valere la libertà di pensiero» di Corrado Petrocelli
«U n gruppo di allievi, amici e colleghi di diverse generazioni… ha voluto dar vita a una raccolta di scritti come segno di gratitudine e testimonianza di amicizia» verso Luciano Canfora, in occasione del suo settancinquesimo compleanno. Si legge così all’inizio della nota dei due curatori, Rosa Otranto e Pasquale Massimo Pinto, del volume che recava nella seconda parte il frutto di un intenso impegno dei più giovani, una raccolta e ordinata bibliografia scientifica di Canfora, che annoverava ben 843 titoli, con l’esclusione della amplissima e pure assai significativa attività pubblicistica.
Dal 2017 sono passati cinque anni e quel repertorio dovrebbe essere già congruamente aggiornato e integrato. Allora si pensò che quello fosse un modo utile, oggettivo per rappresentare la sua produzione e dar conto di un’attività singolarmente intensa. Arduo descrivere i testimoni di una tale produzione. In realtà una costante potrebbe certo rinvenirsi nell’interesse per l’analisi e la storia dei testi e per la loro ricezione e il loro destino, come per la storia degli studi: per delineare senza abbellimenti di facciata o facili accostamenti il rapporto fra gli antichi e noi.
Ma non basterebbe e non ci sono porti sufficienti per una rotta che conduce dal mondo antico a quello moderno e contemporaneo attraverso le acque più disparate, dai mari della Grecia del V secolo alle ragioni della crisi dell’Europa. E poi vuoi mettere l’imbarazzo di citarne alcuni e fare torto agli esclusi? Cesare o Ottaviano? La vicenda di un papiro che racconta il mondo della università italiana tra fascismo e dopoguerra o il cosiddetto papiro di Artemidoro? Storie di biblioteche, di censure, di falsi e falsari? Considerazioni sul potere o la democrazia o la libertà? Le vicende di Giovanni Gentile o Concetto Marchesi o dei Quaderni di Gramsci? Per non parlare della fortuna di una rivista come «Quaderni di storia».
Potremmo continuare ma preferisco ricordare invece due testi cui sono legato per motivi anzitutto personali. Quando vide la luce Il mondo di Atene, Luciano me ne fece pervenire subito una copia con una dedica in cui ricordava come il libro raccontasse «i nostri studi comuni da più di trent’anni»: era vero, leggerlo mi riportò indietro alle lunghe giornate trascorse a discutere e interrogarci insieme (sì, insieme, allora usava così, prima che una competizione tossica e selvaggia si impadronisse degli atenei).
Un impatto poi ancora più forte lo ebbe cinque anni dopo Tucidide, la menzogna, la colpa, l’esilio che concludeva un percorso iniziato con il Tucidide continuato del 1970 (e proseguito con altri saggi comparsi anche presso editori stranieri) e fotografava in modo ormai oggettivo le aporie «in cui si cacciano le ricostruzioni antiche e moderne della biografia tucididea». Il testo mi riportava al mio primo corso di Storia greca quando Canfora decise di affidare a me e all’amico Giacomo Annibaldis il compito di tradurre alcuni brani del primo libro cominciando dal celebre capitolo iniziale.
Ci era stata concessa ben una settimana di tempo che mettemmo a frutto compulsando avidamente traduzioni e commenti di ogni sorta: poi al momento di conferire perdemmo ogni giovanilistica sicumera laddove ci furono indicati e fatti scoprire interrogativi e dubbi e difficoltà e alternative che non eravamo stati in grado di scorgere e che ci avrebbero accompagnato per tutto il corso. Ecco, le lezioni con Luciano erano, e sono sempre state, di questo tenore e mai si sottraeva alla fatica di ulteriori lunghi seminari, con studenti e dottorandi. E per gli studenti, anche e forse soprattutto delle scuole, ha nutrito una attenzione speciale.
Sempre pieno di appuntamenti, si sposta di continuo per partecipare a convegni, conferenze, presentazione dei suoi libri. Ma se qualche volta declina l’impegno, magari persino in occasione di un premio o riconoscimento, non rinuncia all’invito di scuole anche nelle località più lontane o marginali. È lo stesso metodo e la stessa passione che profonde nella attività del Dottorato in storia presso l’Università di San Marino (un dottorato internazionale cui ad ogni bando si presentano sempre oltre cento aspiranti, molti dei quali provenienti da paesi ben oltre i confini italiani). Refrattario come è sempre stato a ricoprire cariche non solo politiche ma anche istituzionali, «costretto» a diventare direttore del Dipartimento di Studi Storici, ha subito, sin dal primo anno, rinunciato al compenso devolvendolo integralmente a finanziare una borsa di un ulteriore allievo.
Tenevo a sottolineare anche questo aspetto, forse non sempre noto, di un personaggio che appare spesso controcorrente, perché non ha mai esitazione nel manifestare le proprie opinioni, basate su di un percorso di verifica e approfondimento continui, nell’idea che la filologia serva a questo, come è scolpito nel titolo del suo volume su Filologia e libertà. La più eversiva delle discipline, l’indipendenza di pensiero e il diritto alla verità.
«Il mio maestro ha legato la filologia e l’antifascismo» di Margherita Losacco
Nel Sistema periodico, Primo Levi rievoca il faticoso addestramento all’antifascismo che la sua generazione dovette inventare a partire «dal germe, dalle radici»: dalle letture, dalle esperienze, dagli studi. La chimica è essa stessa disciplina antifascista: «Conduceva al cuore della Materia, e la Materia ci era alleata appunto perché lo Spirito, caro al fascismo, ci era nemico». Il racconto si conclude con un esperimento disastroso sul Potassio e una morale «terrena e concreta»: «Che occorre diffidare del quasi-uguale [...], del praticamente identico, del pressappoco, dell’oppure, di tutti i surrogati e di tutti i rappezzi. Le differenze possono essere piccole, ma portare a conseguenze radicalmente diverse [...]; il mestiere del chimico consiste in buona parte nel guardarsi da queste differenze, nel conoscerle da vicino, nel prevederne gli effetti. Non solo il mestiere del chimico».
Anche il mestiere del filologo, nella nozione più vasta di filologia come scienza dell’antichità. La filologia è fatta di materia, di cose dimostrabili e verificabili; la critica dei testi, che ne è parte essenziale, si fonda sulla conoscenza dell’errore, e dunque perlustra e scandaglia l’«impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita» (sono ancora parole di Levi).
Anche la filologia è dunque disciplina terrena e concreta, che il lavoro di Luciano Canfora ha permesso di riportare «dal cielo alla terra» nella sua interezza di disciplina storica. Anzitutto come storia dei testi, indagati fin nelle fasi più alte e più delicate della loro trasmissione, fino al metodo – ai metodi, ogni volta diversi – di lavoro degli autori antichi e ai «fasci di carte» che dovettero popolarne gli scrittoi; perlustrati nei testimoni superstiti, con l’arte paziente della recensione; ricostruiti nei loro assetti particolari, come corpora di singoli autori e di gruppi di autori. E nulla, forse, ha dato senso alla conoscenza del mondo antico come lo sguardo ampio e l’interrogazione costante di Canfora sul gioco mutevole di conservazione e perdita dei testi, e sulla ratio a tratti insondabile che lo governa.
Nell’introdurre la raccolta di saggi offerti dagli allievi a Canfora per i suoi 75 anni, Rosa Otranto e Massimo Pinto, che ne proseguono il magistero nell’Università di Bari, hanno scritto: «Ci ha insegnato che tutto ciò che rimane del mondo antico è testo». In quanto storia dei testi, la filologia è studio del mondo antico nella sua totalità.
Nella pratica di questo studio, Canfora ha saldato passato e presente in una unità di ricerca scientifica e impegno civile. Le vicende della produzione, dell’allestimento, della trasmissione dei testi sono già, in realtà, un fatto intrinsecamente politico. Ma il dato politico è, come egli stesso ha osservato, il tessuto connettivo del suo lavoro di antichista.
Lo è per la palestra di politica che lo studio della letteratura e della storia greca e romana costituisce; per le indagini inesauste di storia della filologia classica, che incastonano la disciplina entro la storia dell’Italia e dell’Europa moderne e contemporanee; per l’antifascismo già familiare – con la figura del padre Fabrizio, giellino e poi azionista prima di giungere al PCI –, esercitato anche attraverso i lavori sulle ideologie del classicismo e sul lessico politico in un sodalizio felice con gli allievi di allora, fra i quali l’indimenticata Mariella Cagnetta. Né è un caso che questi lavori siano stati ospitati in modo privilegiato nella rivista «Quaderni di Storia», che Canfora ha fondato nel 1975 e dirige come fucina di pensiero critico e forma ulteriore di militanza intellettuale.
E il dato politico è centrale, ancora, per lo studio delle élites, dei meccanismi del potere, e dei rapporti di forza che governano la politica, la storia, la cultura, conosciuti e indagati attraverso una pratica accorta dell’analogia che permette di studiare l’antico per capire il presente.
I maestri insegnano a studiare anzitutto lavorando: studiando, appunto, e facendo lezione – in particolare la rara tipologia di lezione in cui davanti ai problemi si è tutti uguali (cosa che è, peraltro, un tirocinio prezioso di democrazia intellettuale, e insieme l’origine di un legame durevole e profondo nella schiera degli allievi). Una mattina, quando stavo per entrare per la prima volta in aula per fare lezione, mi affacciai nel suo studio per salutarlo, armata solo di una pila instabile di libri e di una emozione – capisco ora – palese, della quale tuttavia non mi sarei sognata di fare parola. Di quel saluto breve e asciutto da entrambe le parti mi torna in mente ogni anno questa frase, arrivata, come per caso, mentre ero già sulla porta: «E, si ricordi: quando avrà ottant’anni, ed entrerà in aula per la prima lezione del corso, ogni volta sarà come oggi».