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Pucino si racconta: «Ai tifosi del Bari dico, qua la mano»

Pucino si racconta: «Ai tifosi del Bari dico, qua la mano»

 
ANTONELLO RAIMONDO

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ANTONELLO RAIMONDO

Pucino si racconta: «Ai tifosi del Bari dico, qua la mano»

L'intervista: «È passato il concetto di un Pucino contro tutti. E invece io voglio solo che si remi nella stessa direzione. I tifosi possono fare la differenza, specie quelli del Bari. Nessun rancore»

Lunedì 14 Ottobre 2024, 12:34

BARI - A volte capita che sia il giornalista a scegliere il calciatore da intervistare. Di solito sono questioni di competenza dell’ufficio stampa. La salvezza sono le cosiddette «esclusive». Da recapitare a Leonar Pinto, l’uomo addetto alla comunicazione in casa Bari. Che, forse, aspettava richieste diverse. Il ritorno al gol di Lasagna, i progressi di Dorval, la conferma di Maita, la nuova vita di Sibilli. No, stavolta il cronista sceglie una «strada» più tortuosa. Ma decisamente più affascinante. L’uomo con cui interagire è Raffaele Pucino. Di gran lunga il personaggio del momento. Per tutto ciò che è scaturito dalle sue esternazioni. E anche per la qualità del rendimento espresso finora. Occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. E poi nessun dubbio, sarà un momento di crescita. Il modo più diretto per provare a capirci qualcosa in più.

Pucino è un ragazzo diretto. Dice sempre quello che pensa e, soprattutto, pensa sempre quello che dice. A volte ha modi ruvidi. Forse sbaglia anche toni e tempi. Opinioni queste, chiaro eh? Non la «Cassazione». Con lui facile sapere che, una volta faccia a faccia, non ci sarebbero state sorprese. Lui «è», in un mondo in cui tanti recitano. Poi può non piacere, certo. Ma è già tanto partire da presupposti come la lealtà. Pucino magari non controlla le parole, usa la «pancia». Ma con le parole non ci gioca. E soprattutto non le usa per fini scivolosi. L’appuntamento è negli uffici del «San Nicola». Raffaele si presenta con un sorriso largo e convincente. Gli occhi senza adrenalina, quelli che ti porti dietro in conferenza stampa dopo una partita tosta e nei periodi delicati. Stavolta nel suo sguardo c’è qualcosa di diverso. Si legge serenità, per essere riuscito a rialzare la testa dopo mesi complicatissimi. E orgoglio, per averlo fatto da solo, cercando e trovando dentro se stesso la forza per non crollare. Pucino racconta, spiega, si sfoga. Ma non dà mai l’idea di avere di fronte un «avversario». Porta acqua al suo mulino senza usare la delegittimazione degli altri. Possibile che in futuro lo vedremo ancora «sbraitare». Ma se ci rifletti a uno così non puoi negare il rispetto. Potrai, semmai, non condividerne il modo di comunicare. O il contenuto dei suoi interventi. Ci si potrà ancora dividere, in fondo è più bello così. Ma col rispetto che si deve a chi non usa il bluff per vendersi meglio.

Pucino, con il Bari tutto cominciò nel 2021.

«E chi se la scorda quella telefonata? Fu un’idea di Polito, chiamato a costruire un Bari in grado di vincere la C. Eravamo stati insieme ad Ascoli e compagni di squadra nel Sassuolo. Dire “sì” a un club così importante fu una passeggiata».

I bilanci, di solito, si fanno a fine corsa. Ma sente di dire qualcosa?

«Qui ho imparato tantissimo. Quando giochi nel Bari sei quasi costretto a migliorarti ogni giorno, soprattutto fuori dal campo. Momenti unici, la promozione e poi quel sogno sfumato. Ma anche giorni complessi».

In effetti l’anno scorso è stato un disastro. Ma si può capire cosa è successo?

«Semplicemente, nessuna casella si è trovata al proprio posto. Quando arrivi a un passo dall’inferno vuol dire che sono tutti colpevoli. È andato tutto storto ma niente alibi, ci prendiamo le responsabilità com’è giusto che sia. Io, però, mi porto nel cuore la finale playout a Terni. Gran partita, non era facile dopo tutto quello che era successo».

Lei conosce bene Polito, a suo avviso sarà pentito di aver fatto tutto quel «casino» con gli allenatori fino alla scelta, tra il folle e il coraggioso, di affidare la squadra a due esordienti? Dando per scontato che tutte le sue decisioni avevano il fine di aiutare il Bari.

«Se è pentito... non saprei, davvero. Però sicuramente so che ha sempre cercato di risolvere i problemi. In quelle situazioni pensi che cambiando le cose vadano a posto e invece succede che tutto peggiori. Ormai...».

Però Polito vi ha dato una grande dimostrazione di stima. Se non avesse creduto nello spogliatoio mai avrebbe esonerato Iachini e messo in panchina tecnici bravi ma inesperti.

«Il direttore è sempre molto vicino alla squadra. E quindi conosceva tutto di noi. Non dimenticherò mai la gioia per la salvezza. Certo, a Bari non andrebbe mai festeggiata... ma quella è stato un anno terribile. Piuttosto mi è spiaciuto che si sia parlato più della fronda dei calciatori che dei punti, pochissimi, messi insieme dal Bari nella gestione Iachini».

Diciamo che, però, si trattava del terzo cambio. E parlare di colpe dell’allenatore sembrava, oggettivamente, una cosa bizzarra. Ma com’è andata? Sia sincero...

«Non è vero che la squadra abbia chiesto la testa di Iachini».

La «Gazzetta» ha sempre scritto di decisione firmata Polito che, poi, l’ha condivisa con la squadra.

«Così è diverso. Normale che un direttore sportivo parli con il calciatori. E se qualcuno mi chiede come vanno le cose io dico la mia opinione. Ma questo non vuol dire fare fuori l’allenatore».

Argomento chiuso. Parliamo del presente.

«Come due anni fa, ho subito capito che stava nascendo una squadra competitiva. La società ha fatto ottime cose e il resto porta la firma di Longo. Un allenatore che non scopro certo io e che il Bari ha scelto non a caso».

Longo ha subito dato la sensazione di avere le idee chiare.

«È molto preparato dal punto di vista tattico, un “martello”. E sa anche gestire. Poi l’abilità nella comunicazione. Peccato per la classifica, credo che sia decisamente bugiarda».

Come va la vita da «braccetto» di destra?

«Un ruolo non nuovo, nessun problema».

Il ruolo ideale a fine carriera?

«Guardi, se pensa che in quella posizione si corre di meno... sta sbagliando clamorosamente. Forse non conosce Longo...».

Le sue prestazioni, intanto, stanno convincendo anche i tifosi più oltranzisti. Ha visto che non serve “arrabbiarsi” più di tanto? Alla gente basta poco per accendersi.

«Mi creda, il mio problema non sono le critiche. E nemmeno le contestazioni. Anche se...».

Pucino, siamo qui per questo. Ci dica tutto.

«Lo ammetto, a volte ho la sensazione che ci siano valutazioni prevenute. Tanto che mi è capitato di chiedere a Leonar (Pinto, l’addetto stampa, ndr) di poter incontrare qualche giornalista».

Complimenti. Il confronto diretto è sempre la cosa più bella. E leale. Ma cosa avrebbe detto?

«Che magari c’è un pregiudizio. So che certe cose esistono. Anche sul versante contrario. Mi è capitato di incontrare giornalisti, diciamo, molto buoni con me. Però, poi, esiste la legge del campo. E non si dovrebbe sfuggire da questo».

Ha mai pensato che, forse, anche i giornalisti, come gli allenatori, possono avere dei «gusti» in materia calcistica?

«Ci sta. Ma ripeto, io so quando gioco bene o quando non ne azzecco una. Serve oggettività, al di là se questo o quel calciatore ti piace. Vabbè, comunque era per dire come son fatto. Ne vuol sapere un’altra? A volte paragono i voti tra i giornalisti locali e quelli nazionali. E finisce che siamo apprezzati più da Bari in su o in giù».

Queste sono leggende, su (paragoniamo i voti a Pucino della Gazzetta e quelli dei «forestieri»?). E quale sarebbe la spiegazione?

«Le ho promesso la verità, nient’altro che la verità. E mi spiego: ho l’impressione è che l’avversione verso la società porti a considerare scarsa la squadra, a prescindere da tutto».

I problemi di una squadra, però, non possono certo essere rappresentati dall’ambiente. Perché lo stesso ambiente, poi, porta 34 mila persone a un playout e a far diventare Di Cesare un idolo dopo che per anni era quasi visto come un problema. Anche lei, oggi, è in forte recupero agli occhi dei baresi. Quando si vince, insomma, tutto torna a posto. È la legge del calcio, a Bari come in tutta Italia.

«Ci mancherebbe, so che funziona così. Ma son fatto così, se devo dire una cosa lo faccio senza filtri. Sempre per difendere me e la squadra, non ho mai mancato di rispetto a qualcuno. A volte si esagera e io ci resto malissimo. Tutto qui».

Pucino, se la sente di pronunciare una frase che recita così: «tifosi del Bari, qua le mano: il passato è alle spalle, ora tutti insieme per costruire un futuro importante».

«Assolutamente sì. È passato il concetto di un Pucino contro tutti. E invece io voglio solo che si remi nella stessa direzione. I tifosi possono fare la differenza, specie quelli del Bari. Nessun rancore. Se qualcuno pensa che io abbia sbagliato, lo accetto. Ma non cambia la sostanza. Voglio vedere un Bari vincente. Come tutti i tifosi».

Oltre alla serie A, cosa le piacerebbe vivere pensando in biancorosso?

«Un giorno andrò via, tutte le storie hanno un inizio e una fine. Mi piacerebbe lasciare un bel ricordo. Ma ho anche un sogno...».

Non si faccia pregare proprio a fine intervista...

«Mi piacerebbe che la gente di Bari dica “Pucino ha dato tutto per la maglia”. Non mi importa se mi ritengono o meno un difensore affidabile. O un bravo ragazzo. Sarebbe il massimo sentire che “ha tirato fuori anche quello che non aveva”. La vittoria più bella, nessun dubbio».

Siamo ai saluti. Le lasciamo un ultimo pensiero in libertà. A chi lo dedica?

«A Nicola Bellomo, mio compagno di camera. Ha sofferto tantissimo e sono felice sia fuori dall’incubo. Quella storia dell’espulsione a Terni lo ha fatto soffrire tantissimo. E io che gli voglio bene oggi gli dico “Nik, ora goditi tutto perché te lo meriti”. Il calcio sa dare tantissimo ma a volte toglie. E noi calciatori non siamo robot».

Pucino, sia sincero. Quante chances ci sono di rivederla in sala stampa a bacchettare l’ambiente?

«Non mi provochi (e giù una risata..., ndr). Però spero ci sia stato il chiarimento definitivo. E che oggi la gente mi conosca un po’ meglio».

E chissà che non si arrabbi per un «5» in pagella...

«Se è meritato so abbassare la testa. L’importante è che tutto non nasca da una punizione calciata male (e ancora una fragorosa risata, ndr)».

Raffaele Pucino, così. Prendere o lasciare. Con rispetto, sempre. Con rancore, mai.

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