Tempo scaduto. O Enel farà un’operazione verità nel prossimo tavolo sulla decarbonizzazione convocato dal Mimit per il 10 o 11 giugno, oppure la situazione rischia seriamente di degenerare. Non è casuale, infatti, la convocazione dell’incontro ministeriale prima del G7. Dopo le clamorose proteste dei lavoratori dell’indotto del carbone, sfociate nell’occupazione della strada statale 613, si teme una escalation della tensione, che potrebbe trovare terreno fertile in occasione dell’arrivo a Brindisi dei grandi della Terra.
Il sindaco Pino Marchionna lo ha detto chiaramente nel corso della conferenza dei capigruppo di lunedì: «C’è un’allerta concreta riguardante l’arrivo di black bloc e gruppi simili. Il timore è che in questo clima possano innestarsi anche forme di protesta dei lavoratori esasperati». A conferma del clima incandescente che si vive in città, sono annunciate per venerdì due manifestazioni di protesta. La prima, dal titolo «Industria e lavoro: riprendiamoci il futuro», è organizzata da Cgil e Uil, partirà dalla stazione alle 9.30 e rappresenta un sequel di quella inscenata giovedì scorso sulla strada statale 613. La seconda, invece, è del «Tavolo di coordinamento No G7» e partirà nel pomeriggio dall’Autorità portuale. Le ragioni di questa manifestazione risiedono nella contrarietà verso la «militarizzazione del porto di Brindisi, che accoglierà la portaerei Trieste». La scelta di Brindisi, secondo i «No G7», è riconducibile al fatto che «la città è caduta in una grave crisi industriale, con la previsione di perdere migliaia di posti lavoro, e per questo si fanno spazio le nuove forme di occupazione come quella militare».
È evidente, allora, che davanti a un quadro così incandescente, a centinaia di lavoratori licenziati o messi in cassa integrazione, all’assenza di prospettive concrete di sviluppo alternativo, Enel abbia il dovere di dire finalmente la verità. Ma soprattutto di mettere in campo ingenti investimenti. Sono passati quasi tre anni da quando la multinazionale dichiarò in fase di aggiornamento dell’Aia che la zona franca doganale di sua proprietà sarebbe stata adibita entro il 2023 a «ricezione di merci, stoccaggio e deposito, movimentazione merci ed eventuali attività di trasformazione e perfezionamento». «In prima ipotesi - si impegnava Enel nel documento - nella prima fase di sviluppo si prevede la gestione di flussi ro-ro, con particolare riferimento al settore automotive, alle merci del settore agrifood (anche refrigerate, in containers e in colli) e alle materie prime e semilavorati». Da allora, il nulla. Solo dichiarazioni d’intenti, che potrebbero culminare nell’ufficializzazione, durante il prossimo tavolo ministeriale del 10 o 11 giugno, dell’insediamento della Scandiuzzi nella zona franca doganale di Costa Morena Est. Se l’obiettivo è quello di stemperare gli animi, serve ben altro.
«Prima ci hanno fatto morire di tumori, adesso di fame», ha tuonato Alfio Zaurito della Uilm nella manifestazione di giovedì scorso. «Abbiamo bisogno - ha proseguito - di un progetto di riconversione che occupi i 1.200 lavoratori che un giorno lavoravano in questa centrale. Ora sono meno di 500». È questo il sentiment. Sono questi i numeri. Anzi, per l’Autorità portuale i lavoratori coinvolti dallo tsunami della decarbonizzazione sono molti di più. Già tre anni fa, il presidente dell’ente Ugo Patroni Griffi inviò una relazione al governo sostenendo che «lo scenario complessivo al 2025, anno della cessazione delle attività portuali legate al carbone, avrà un effetto sulla forza lavoro della città di oltre 2.000 unità in meno, con conseguenze devastanti sul piano sociale e in un contesto caratterizzato da un tasso di disoccupazione che sfiora il 20 per cento». Il delta occupazionale mancante, dunque, avrà bisogno di un articolato piano di investimenti, che vada oltre qualche insediamento «spot», necessario ma non sufficiente. È arrivato il tempo che Enel dica ad esempio parole chiare sulle attività di decommissioning, ovvero di smantellamento delle infrastrutture in banchina e nell’area di Cerano, che ostacolano nuove iniziative imprenditoriali. Soprattutto con riferimento all’area di Costa Morena Nord, è in atto da mesi un braccio di ferro tra il colosso energetico e l’Autorità portuale, che a fronte del mancato arrivo di navi carboniere nell’anno in corso, continua a sollecitare Enel perché presenti un piano di decommissioning.
Appelli finora caduti nel vuoto, al pari di quelli rivolti da alcuni rappresentanti del governo ai vertici della multinazionale affinché presenti e avvii a stretto giro - in mancanza di progetti alternativi «labour intensive» - i lavori di bonifica e ripristino dei luoghi occupati dalla centrale e dalle infrastrutture utilizzate per la movimentazione e il deposito del carbone. Attività che, come asserito più volte dal primo cittadino, garantirebbero dieci anni di occupazione per le maestranze locali.