BRINDISI - «Io dovevo uccidere Ennio Penna (padre del pentito Ercole Penna, ndr) non so perché e anche Tobia Parisi perché dovevano prendere Mesagne, poi Gianluca Lamendola ha detto di stare fermi” visto che “stavamo già operando su San Vito dei Normanni, Brindisi e San Pancrazio Salentino». Prima di ammettere che il suo pentimento altro non era se non un bluff organizzato per incontrare e uccidere la pm della Dda di Lecce, Carmen Ruggiero, il detenuto Pancrazio Carrino, 42 anni, alias Stellina, ha consegnato i nomi di chi doveva essere eliminato nelle logiche interne del gruppo Lamendola-Cantanna. Gruppo che, per la Direzione distrettuale antimafia di Lecce, sarebbe mafioso, essendo una diramazione della vecchia guardia della Sacra corona unita, e sarebbe stato attivo soprattutto nel traffico di droga.
L’interrogatorio risale al 31 luglio scorso, quando Carrino era detenuto nel carcere di Lecce: dodici giorni prima era stato arrestato dai carabinieri nel blitz scaturito dall’inchiesta The Wolf sul gruppo Lamendola-Cantanna e dall’ordinanza di custodia cautelare aveva appreso di essere accusato di violenza sessuale ai danni della ragazza che frequentava in quel periodo. Accusa falsa, ha ripetuto. Accusa che voleva vendicare tagliando la gola alla pm, come ha ammesso il 23 ottobre scorso. Sia il verbale di quest’ultimo interrogatorio che di quello precedente sono stati trasmessi alla procura di Potenza, che da subito ha aperto un’inchiesta sulle lettere minatorie ricevute dalla pm Ruggiero e dalla gip che firmò l’ordinanza The Wolf, Maria Francesca Mariano, di recente destinataria di una testa di capretto mozzata.
Dopo aver sostenuto che Gianluca Lamendola «è considerato uomo d’onore nel contesto della criminalità organizzata», Carrino ha fatto i nomi di cinque persone che dovevano essere uccise. Il primo della lista, secondo la versione che poi è stata ritrattata doveva essere Ennio Penna. Il nome coincide con quello del padre di Ercole Penna, alias «Lino ‘u biondo», per anni a capo della frangia cosiddetta mesagnese della Sacra corona unita, diventato collaboratore di giustizia nel 2010, pochi giorni dopo essere stato arrestato nel blitz della Squadra Mobile di Brindisi chiamato «Calypso».
Ercole Penna, dopo i riscontri alle prime dichiarazioni, è stato ritenuto attendibile e ha ottenuto il patentino di credibilità in diverse sentenze del tribunale. Il collaboratore è stato condannato a nove anni per l’omicidio di Ezio Pasimeni, che ha confessato dopo essere stato assolto in primo e secondo grado, e a 12 anni per appartenenza all’associazione mafiosa. Anche Parisi finì in carcere nell’inchiesta Calypso, dopo alcuni mesi di latitanza, ma ha sempre rivendicato la sua estraneità al clan.
A San Pancrazio Salentino, Carrino ha detto che avrebbe dovuto uccidere un uomo che aveva fatto arrestare un mesagnese e che gestiva il traffico di sostanze stupefacenti per conto di un affiliato al clan Bruno di Torre Santa Susanna. Infine, altre due persone dovevano essere uccise nel Brindisino nelle logiche interne al gruppo.
Il pubblico ministero - come si legge nella trascrizione, si era riservato di valutare le dichiarazioni di Pancrazio Carrino «in ordine a un eventuale inizio del percorso di collaborazione». Ma era un piano. Un folle piano che il detenuto ha confessato.