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Brindisi, sciopero bianco dei riders contro l’App-«Grande fratello»

 
Antonio Portolano

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Antonio Portolano

Brindisi, sciopero bianco dei riders contro l’App-«Grande fratello»

Toscano (Nidil Cgil): «È una guerra tra poveri, diritti cancellati»

Lunedì 16 Ottobre 2023, 15:02

BRINDISI - Comprati alla velocità della luce, da un’App che come un «caporale» recluta quante più persone possibile, fissa il costo della consegna, non concede diritti, ti «spia» 24 ore al giorno anche se non sei in servizio e ti «punisce» se sbagli un percorso e ti ritrovi quindi a non guadagnare nemmeno un euro.

Vita da rider. Altro che l’antico adagio: «Hai voluto la bicicletta, pedala».

La situazione di questi lavoratori, per quanto pedalino, peggiora a colpi di click che, come racconta il coordinatore dei Rider Nidil Cgil Michele Toscano che rappresenta la maggior parte dei ciclofattorini brindisini : «Guadagnano sempre meno. Mettono i loro mezzi a disposizione, che devono essere conformi ad adeguati standard altrimenti l’App non ti arruola. Sopportano tutti i costi a loro carico a partire dal carburante. Non hanno diritti e tutele, non hanno ferie, malattie, maggiorazioni se lavorano a Natale, Pasqua o Ferragosto. E sono costretti ad aprire una partita Iva se superano i 5000 mila euro, entro i quali basta la ritenuta d’acconto per cui reggono un carico fiscale del 20% a proprie spese. E che con la partita Iva, regime forfettario, arriva quasi a 30%».

A Brindisi, Michele Toscano e la segretaria generale Nidil Cgil, Chiara Cleopazzo, hanno già combattuto numerose battaglie per questi lavoratori atipici e ora, oltre ad informare costantemente l’Ispettorato del lavoro sulle evoluzioni di questo lavoro 4.0, stanno pensando di organizzare un inedito «sciopero bianco».

Cos’è uno sciopero bianco?

«Con questo tipo di lavoro, hai un’App come controparte, per cui nemmeno il classico sciopero funzionerebbe. Siccome non siamo in un’azienda, non sapremo mai quali e quanti sono i nostri colleghi di lavoro, per quanto il sindacato del quadrato rosso abbia riunito almeno un centinaio di riders per rivendicare trattamenti a misura d’uomo. E allora ci siamo accorti di una cosa. Se la piattaforma chiede chi è disponibile a fare una determinata consegna ad un costo X, se non ci sono risposte nell’arco di un tot di tempo, allora il costo aumenta per allettare i rider. Per quanto possibile, cercheremo di passarci parola per attuare una forma di protesta di questo tipo, anche se sarà difficile».

Perché?

«Perché la piattaforma recluta sempre più gente, tanto non deve pagare stipendi, ferie, ecc., non ha dipendenti. Ed è anche per questo che, essendo così inflazionata la domanda di lavoro, le retribuzioni corrisposte si abbassano sempre di più. A colpi di click sono stati cancellati decenni di conquiste dei lavoratori, contratti collettivi nazionali e siamo nella deregulation più totale, dove un algoritmo decide il tuo compenso per quanto tu possa pedalare, andare in monopattino, in moto, in auto. Per quanto tu da fattorino possa consegnare, hamburger, pizza, pasti caldi, sigarette, medicine (quelle esenti da ricetta medica) a domicilio in ogni zona della città, lungo i bordi delle strade o a bordo di una nave».

Ma come funziona il lavoro del rider?

«Io ho 58 anni, ho già il mio lavoro, faccio tutt’altro. Mi sono ritrovato in questo mondo per i miei figli che a 17 anni, circa sei anni fa, volendo fare una esperienza di lavoro ed essendo minorenni mi hanno coinvolto in questa esperienza iscrivendo me che ero maggiorenne. Io li ho accompagnati a lungo. Ed ho iniziato ad esplorare questo mondo».

Era meglio prima?

«Sebbene sempre senza tutele, certamente sì. Quando i ragazzi hanno iniziato, le piattaforme offrivano 10 euro per un’ora del tuo tempo mezzo compreso. I riders erano pochi e dedicando qualche ora al giorno, soprattutto nei week end, riuscivano a raggiungere da una piattaforma 1.300-1.400 euro al mese, che soprattutto per dei giovani non è cosa da poco. E, considerato che non ci sono vincoli di esclusiva, si poteva lavorare per più piattaforme contemporaneamente. A Brindisi sono arrivati nell’ordine prima Deliveroo (che dava 10 euro a ora), poi Glovo (che ne dava 7-8 euro a ora), Uber (poi scomparso) e Alfonsino (5 euro l'ora)».

E oggi cosa succede?

«L'app ti iscrive e può reclutare quanti rider vuoi. Il lunedì e il venerdì - ad esempio Glovo - decide una graduatoria a seconda del punteggio assegnato. Inizia ad aprire al primo alle 15 poi via via al secondo terzo ecc. Ogni 15 minuti. Man mano che i primi prenotano al resto non rimangono ore, salvo che poi qualcuno non rinunci ad una determinata consegna dando la possibilità ad un altro di aggiudicarsela. Glovo assegna un punteggio che va da 0.1 a 5.0 che è il massimo. Questo significa che il martedì avrò diritto a prendere tutte le ore. Ma non pagate. Tu le prendi e aspetti. È la prima scelta. Siccome c'è un punteggio, chi ha meno punti non prende ore, a meno che qualcuno non rifiuti, ma deve attendere se esce un ordine. Quando ti arriva l'ordine ti dice 3.50 euro e tu devi decidere se prendere o lasciare a seconda che ne valga la pena. Una curiosità, se piove ti assegna 1.2 in più sul costo della consegna (ad esempio su 3 euro 12 centesimi in più). Ovviamente non si tratta di una pioviggine. L'acqua deve superare i 6 millimetri - secondo i calcoli che gli forniscono i satelliti - altrimenti nulla. Insomma ti iscrivi e non hai diritto a niente. Ti assegnano delle ore con l'App. Ognuno prende delle ore e sei libero di accettare o meno la consegna che ti arriva, magari per 3,50 euro a consegna, per andare in un determinato posto. Hai 10 secondi per accettare l'ordine, chi prima arriva, meglio alloggia, solo in teoria. C’è infine da segnalare la beffa degli ultimi giorni con l’app, che ti invita a portare un amico da reclutare. E se questo raggiunge un tot di ordini ti regala 60 euro, ovviamente nessuno li ha mai visti perché prima di arrivare a 60 l’amico ha gli ordini bloccati».

Questione punizioni e privacy...

«Se vuoi stare sull’App devi per forza accettare la localizzazione H24 e non limitatamente alle ore in cui lavori perché deve controllarti, come il “Grande fratello”. E magari oltre al percorso controlla altro. L’app infatti quando devi eseguire un ordinativo ti assegna un itinerario, se tu conosci una strada alternativa o una scorciatoia non la puoi fare se è fuori dal percorso assegnato: ti butta automaticamente fuori dalla piattaforma. E non solo perdi i soldi di quella consegna, ma anche del resto della settimana».

Insomma una guerra tra poveri?

«Alla fine è così. Sabato sera c’erano 400 ordini da evadere intorno alle 20 da Mc Donald’s. L’App ha avvisato tutti con priorità alta. C’erano decine di auto. Non solo tanti ragazzi, gente tra i 35 e i 40 anni, pronti per consegnare. Alla fine non puoi fare due o tre consegne per magari 4,50 euro. Dovresti farne almeno 10 al giorno per poi ricavare qualcosa al netto delle spese. Se sei anni fa mediamente potevi fare 1.300 euro al mese oggi a malapena ne raggiungi 400. E la cosa va sempre più a peggiorare con l’aumento della manodopera. È un principio pericolosissimo che va regolamentato e non da un’App. Pensate se fosse esteso ad altri settori, cancellerebbe anni di diritti e tutele. Per questo, come Nidil Cgil, chiediamo il ripristino della compensazione oraria e del numero essenziale dei rider in zona, oltre al riconoscimento del contratto di lavoro nazionale. Siamo pronti alla battaglia».

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