Il caso
Movida molesta a Brindisi, ordinanza da rifare per il benessere di tutti
Il Tari boccia la durata complessiva della deroga e la indeterminatezza dell’intensità dei decibel ma la decisione di merito arriverà a stagione finita
BRINDISI - Serve una nuova ordinanza sulla movida brindisina, prima che sia il caos, che gli animi si surriscaldino oltre le già torride temperature di questi giorni. Serve che prevalga il buon senso capace di trovare un punto di mediazione, in grando di evitare un perenne e deleterio contenzioso. Oltre ogni cavillo e ogni argomentazione, la «ratio» della decisione cautelare della Seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione di Lecce (presidente D’Arpe) dice che ci sono esigenze che vanno contemperate: quelle dei commercianti e quelle dei residenti; quelle di chi lavora di notte in estate e quelle di chi, a notte appena conclusa, ad esempio, si leva dal letto per andare a lavorare. Tutto questo senza considerare il più generale diritto di riposare senza rumori di sorta oltre un determinato orario.
Le disposizioni del Decreto del Tar Lecce sono giunte in città, in piena movida, sabato sera, e non risulta che si sia ottemperato a quelle disposizioni del magistrato.
Ma non è questo il punto: è che, da queste ore in avanti, bisogna cambiare necessariamente registro, oltre ogni atto di forza ed oltre ogni possibile braccio di ferro, con l’Amministrazione comunale impegnata a porre una pezza intervenendo con una nuova ordinanza, magari dalla stessa intitolazione: “Stagione estiva 2023, disposizioni straordinarie e deroga oraria ed ai limiti delle emissioni sonore” e con un contenuto sostanzialmente modificato.
Il giudice, in fin dei conti, ha detto che «le previsioni normative consentono, con ogni evidenza, la deroga ai previsti valori limite assoluti e/o differenziali delle emissione sonore soltanto per attività sporadiche ed occasionali - quali una festa comunale, uno spettacolo in piazza, una specifica manifestazione destinata a tenersi in una certa data ed in una certa ora - ma non permettono in alcun modo l'estensione, per un rilevante periodo temporale (oltre due mesi, tutti i giorni dalle ore 20,00 alle ore 1,00), ad attività all’aperto di carattere continuativo, quale quella dei numerosi esercizi pubblici presenti nel centro urbano cittadino del Comune di Brindisi, la cui capacità di incidere (in senso negativo) sul bene giuridico-salute tutelato dalle norme in tema di inquinamento acustico è talmente superiore a quella della attività sporadica ed occasionale da non poter in alcun modo esservi assimilata».
Non solo. I giudici amministrativi e per essi il presidente della Seconda sezione del Tar Lecce dicono che non è stato «fissato alcun limite massimo alle emissioni, né è stato valutato l’effetto cumulativo delle emissioni sonore prodotte contestualmente dai numerosi esercizi pubblici e locali commerciali con attività all’aperto ubicati nel centro urbano cittadino di Brindisi».
Da qui la sospensione del provvedimento, in attesa che si discuta nel merito la questione nella prima data utile fissata per il 14 settembre. Una data davvero distante, a stagione quasi conclusa, che impone un’azione da parte dell’Amministrazione per regolamentare la movida in maniera tale da contemperare le esigenze sopra evidenziate.
In fin dei conti, è lo stesso provvedimento a suggerire dove si possono apportare i correttivi necessari: si dice che non tutti i giorni si può fare musica all’aperto fino a tardi e quindi – magari com’è avvenuto nella vicina Ostuni – si può affiancare un “regime ordinario” dal lunedì al venerdì alla straordinarietà del week end, con orari di fine musica procrastinati. E questo discorso può valere anche per l’intensità dei decibel: un irrigidimento delle posizioni non giova ad alcuno. I limiti posti dalla legislazione se rilevati, sembra non vadano, quanto ad intensità di decibel, oltre la sonora risata all’aperto che è certamente diversa da un brano proposto da un dj per far muovere la gente accorsa in un locale. Ma una scala di intensità va pur messa per un semplice motivo: dividere, nel loro lavoro, chi rispetta le regole da chi non lo fa. È una questione di giustizia nei confronti di tutti, anche di quanti continuano imperterriti a fare ciò che vogliono sbandierando un diritto a lavorare, malamente inteso nella sua struttura e nella sua attuazione.