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Contrabbando sigarette, la Procura di Brindisi estende le indagini alla nave "Capri" della Marina militare

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Contrabbando sigarette, la Procura di Brindisi estende le indagini alla nave "Capri" della Marina militare

La nave "Capri"

Coinvolte quattro persone nel traffico di "bionde" dalla Libia. Inchiesta della Guardia di finanza era partita nel 2018

Mercoledì 16 Marzo 2022, 12:58

BRINDISI - Si allargano anche alla nave della Marina militare «Capri» le indagini della Procura di Brindisi sul traffico di sigarette di contrabbando dalla Libia. Dopo l’inchiesta che ha portato, a giugno 2021, alla condanna in primo grado di tre militari in servizio su nave «Caprera», i pubblici ministeri Giuseppe De Nozza e Alfredo Manca stanno infatti continuando a indagare per scoprire se anche nelle missioni precedenti a quella del Caprera vi erano stati traffici illegali. Sotto la lente, quindi, è finita l’unità navale Capri che ha preceduto nave Caprera nel porto di Tripoli. L’inchiesta era deflagrata nell’estate del 2018 quando quest’ultima unità navale era tornata a Brindisi e, una volta attraccata al porto, sulla base di una segnalazione dell’allora comandante, erano intervenuti i finanzieri sequestrando oltre 700 chilogrammi di sigarette estere. La Caprera, però, era stata inviata in missione in sostituzione di nave Capri, che aveva stazionato nel porto libico dal 13 dicembre 2017 al 30 marzo 2018: una serie di elementi raccolti nel corso dell’inchiesta hanno spinto i magistrati a ritenere che quel traffico fosse una prassi diffusa già prima dell’episodio che aveva riguardato nave Caprera. Ed è per questo che gli inquirenti brindisini hanno chiesto e ottenuto una proroga di sei mesi. I termini per le indagini preliminari infatti sarebbero scaduti il 27 dicembre scorso, ma pochi giorni prima i due pm brindisini hanno spiegato al gip Vincenzo Testi che entro quel termine non poteva concludersi il lavoro dei finanzieri perché «la quantità dei fatti oggetto di accertamento è stata talmente estesa e complessa – si legge negli atti – da aver imposto per mesi l’esame e la valutazione (ora conclusi) dei contenuti della copia forense dei supporti elettronici ed informatici sottoposti a sequestro». Insomma troppi dati da analizzare e poco tempo-. Il lavoro di analisi, tuttavia, a dicembre era concluso e quindi questi ulteriori sei mesi che scadranno a giugno 2022 serviranno agli investigatori per redigere l’informativa conclusiva sulla vicenda.
Dalla proroga delle indagini, inoltre, emerge che nella nuova inchiesta sono coinvolte almeno quattro persone e tra queste Marco Corbisiero, l’ufficiale intorno al quale ruotava l’inchiesta madre. Corbisiero era stato individuato dallo Stato Maggiore italiano come ufficiale tecnico a capo del team che avrebbe dovuto curare il ripristino delle navi libiche dopo gli accordi fra i governi per contrastare i flussi migratori dalle coste nordafricane. L’inchiesta dei finanzieri di Brindisi, però, aveva portato alla luce un quadro differente: il militare italiano venne infatti descritto dal gip Vittorio Testi come l’artefice di una operazione senza scrupoli durante la quale per acquistare i beni di contrabbando «si appropriò del denaro dei contribuenti italiani» destinato «a potenziare» la Guardia costiera libica contro il «turpe traffico di minori, donne, anziani». L’ufficiale, a luglio 2018, finì agli arresti domiciliari e poi, al termine del processo con rito abbreviato, il giudice lo condannò a 6 anni di reclusione, al pagamento di una maxi multa e per lui fu anche disposto il licenziamento dalla forza armata. Oltre a Corbisiero, tra gli indagati, figurano anche Francesco Castano e Nicola Petrelli, entrambi ufficiali e in periodi differenti secondi in comando a bordo di nave Capri. Il quarto indagato, latitante da luglio 2018, l’ufficiale della Guardia costiera libica Mohamed Hamza Ben Abulad a cui secondo gli investigatori era riconducibile una fantomatica società diventata, grazie all’intervento di Corbisiero, unica interlocutrice in Libia per la forza armata italiana. Dall’impresa di Hamza, secondo l’accusa, la Marina avrebbe acquistato pezzi del motore delle motovedette libiche, materiale elettrico, informatico, edile ed idraulico, ma anche sigarette, ciabatte, dentifrici, spazzolini e persino pillole di «Cialis», medicinale per la disfunzione erettile.

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