ANDRIA - Ha finito di scontare la sua pena ed è tornato a casa dopo 24 anni di reclusione. Il 44enne Pasquale Tortora era stato condannato a 30 anni per l’omicidio della piccola Graziella Mansi, e grazie allo sconto di pena riservato ai detenuti che mantengano una condotta carceraria corretta, ha anticipato di sei anni il saldo del suo personale conto alla giustizia.
Quel 19 agosto del 2000, Andria balzò agli onori della cronaca nazionale per l’efferato omicidio della bimba di 8 anni: adescata, violentata e bruciata nel boschetto ai piedi di Castel del Monte. Un orrore che ha macchiato per sempre quell’area diventata patrimonio dell’umanità. Per l’omicidio furono condannati separatamente con giudizio ordinario quattro ragazzi, tutti poco più che ventenni, alla pena dell’ergastolo: Vincenzo Coratella, Giuseppe Dibari, Domenico Margiotta e Michele Zagaria. Pena di 30 anni, invece, a Pasquale Tortora che fece ricorso al giudizio abbreviato. Fu proprio Tortora il primo ad essere arrestato, e poi dopo le sue dichiarazioni furono coinvolti anche gli altri quattro suoi conoscenti, in quello che fu considerato il delitto del branco.
«Già da allora, al tempo dei processi, le loro strade si divisero e per forza di cose non si sono più ricongiunte. Da un lato i quattro (diventati tre dopo la morte di Coratella) che gridano ancora la loro innocenza, e dall’altro Tortora che ha avuto un destino diverso, conseguenza di scelte processuali differenti». Le parole dell’avvocato Carmine Di Paola palesano rabbia, dolore e amarezza per l’esito del processo. Il penalista ha difeso Vincenzo Coratella e Giuseppe Dibari e ha professato la loro innocenza, non solo nelle aule processuali, ma anche sul libro che ha tracciato la sua lunga carriera professionale.
Ventiquattro anni di carcere, praticamente una vita. Ma i quattro restano fermi sulla loro posizione di innocenza?
«Per la cronaca e per opportuna memoria di tutti, Vincenzo Coratella si suicidò nel carcere di Lecce, affidando ad uno scritto disperato la sua riaffermazione di innocenza. Giuseppe Dibari, resiste in un bunker di assoluto isolamento, si affida alle letture evangeliche, è insofferente anche ai colloqui con i suoi familiari, si rifiuta di richiedere misure alternative alla detenzione cui oggi potrebbe ambire. Sostiene che uscirà dal carcere unicamente quando sarà riconosciuta la sua totale estraneità al delitto...