ANDRIA - «Io vorrei tornare in Ucraina ma per la sicurezza del nostro bambino piccolo abbiamo deciso di restare qui per la sua sicurezza. In questo momento sulla nostra terra cadono ancora bombe, ogni giorno. Lo facciamo per nostro figlio». A parlare con le lacrime agli occhi è Valentina, 39 anni, che insieme a suo marito Sasha ed il loro figlio più piccolo un anno fa sono fuggiti dall’Ucraina, da Dnipro, a causa della guerra, giungendo ad Andria in cerca di rifugio.
Valentina ha una mamma anziana che non ha potuto lasciare il paese a causa dell’età avanzata. Ad accudirla ci sono i nipoti, i due figli più grandi di Sasha e Valentina. Loro però stanno anche combattendo sul fronte di guerra. Sasha, 52 anni, non ha potuto prendere parte al conflitto perché invalido. Ha dovuto lasciare il suo lavoro. «Ero un imprenditore - racconta -. Avevo un mio negozio. Solo oggi capisco quanto stessi bene prima. Ho lasciato casa, amici, tutti i rapporti che avevo. Il negozio oggi è chiuso perché l’edificio è stato bombardato. In Italia mi trovo bene, ho incontrato persone magnifiche. Sto cercando di ricominciare». Sasha intanto sta ricevendo le cure necessarie in Italia per la sua forma di invalidità, medicine fondamentali per la vita. Ci ha anche ribadito l’importanza della guerra perché in gioco c’è la libertà degli ucraini al cospetto di un invasore che non vuole più soltanto conquistare qualche territorio, ma vuole negare la libertà a tutti gli ucraini. Per questo i suoi figli più grandi sono in battaglia e «non per redenzione personale», ha sottolineato. Come Sasha e Valentina, la Caritas diocesana tra Andria e Canosa di Puglia sta seguendo nove nuclei famigliari, di cui dieci sono adulti e undici minori.
Nel frattempo altri ucraini sono riusciti a tornare in patria laddove la guerra è più distante. Anche Maryna, 45 anni, è ad Andria da un anno, fuggita col figlio piccolo dal Donbass, uno dei fronti più caldi del conflitto con la Russia. Un altro figlio, più grande, è rimasto in Ucraina. «Non posso tornare a casa perché la mia città è vicina al fronte - racconta -. Qui in Italia mi trovo molto bene. Anche mio figlio piccolo si sente bene qui. Studia e va a scuola. Per ora tutto questo è confortante».
Per tutti loro però il futuro è incerto. Impossibile capire ad oggi quando potranno tornare in Ucraina. Tra poco molti di loro avranno bisogno di un nuovo tetto sotto cui vivere, oltre che un lavoro per andare avanti. I sostegni dello Stato sono terminati in soli tre mesi, ci racconta don Mimmo Francavilla, direttore della Caritas diocesana. «Una paghetta troppo corta - ha detto don Francavilla -. E’ stato un anno molto intenso perché abbiamo dovuto anzitutto stare accanto a loro, farli sentire a casa nella nostra terra, cercando di offrire ogni servizio minimo: dall’orientamento, ai documenti, il lavoro, passando per l’inserimento scolastico dei più piccoli che avesse anche un sostegno particolare per loro. E poi anche accompagnarli nelle piccole e grandi spese quotidiane perché la loro vita comunque continua anche qui in Italia, dalla famiglia alla salute. Ma adesso abbiamo bisogno di altro aiuto».
Serve un nuovo moto di accoglienza, così come accaduto un anno fa, quando in migliaia sono giunti in Italia in fuga dalla guerra. Il 23 marzo prossimo presso la parrocchia di Sant’Angelo si terrà un’iniziativa per sensibilizzare ancora sull’importanza dell’accoglienza e raccontare le storie di vita di chi ancora oggi soffre lontano da casa, lontano dai proprio cari. Con la speranza sempre viva di tornare a casa e in pace.