Barletta - Continua la moria di tartarughe marine lungo le coste della Bat.
Sono almeno una ventina le carcasse spiaggiate nell'ultima settimana nel tratto di litorale compreso tra Margherita di Savoia e Trani. Era già accaduto negli anni scorsi ma quest'anno il fenomeno si sta ripetendo con numeri ancora peggiori: basti pensare che soltanto domenica scorsa il personale del Centro recupero Wwf di Molfetta ha recuperato le carcasse di 4 rettili, in avanzato stato di decomposizione, in due punti ben precisi: due nel lido dell’Esercito lungo il litorale di Levante e altre due nel tratto di costa vicino il poligono di tiro nei pressi della Fiumara.
Insomma, spiaggiamento straordinario di tartarughe marine, soprattutto esemplari di «Caretta caretta» che, giungono a riva spinti da una combinazione di vento e correnti marine.
«Saranno i veterinari ad accertare le cause della morte dei quattro esemplari recuperati di Caretta caretta, la tartaruga marina più comune, diffusa in molti mari del mondo, ma fortemente a rischio estinzione in tutto il bacino del mare Mediterraneo, anche se - spiega Pasquale Salvemini, coordinatore del Centro di recupero delle tartarughe marine controllato dal Wwf - sarà difficile risalire alle effettive cause dei decessi, dato l'avanzato stato di decomposizione delle carcasse».
«Quando i pescatori trovano tartarughe impigliate nelle reti o già morte per asfissia da annegamento - spiega Salvemini -, le rigettano in mare e le correnti le spingono sino a spiaggiarle. Noi ci limitiamo a effettuare le verifiche per elaborare i dati».
Per gli esperti del Centro recupero Wwf di Molfetta, la principale causa di morte delle tartarughe marine è rappresentata dalla cattura accidentale con attrezzi da pesca, come reti a strascico, palangari e reti da posta (si tratta di reti fisse, radenti la costa lunghe cinque chilometri nelle quali le testuggini si vanno a infilare) ma anche dalle collisioni con le imbarcazioni.
Ma all’origine del triste fenomeno della moria di tartarughe marine c’è anche l'inquinamento da plastiche e microplastica. «Le tartarughe marine li scambiano per meduse, e quando li ingeriscono è troppo tardi per accorgersi che sono invece sacchetti di plastica. Questa - rimarca Salvemini - è la sorte che finora è toccata a molti di questi rettili recuperati ormai privi di vita».
I fattori antropici, dunque, oltre a quelli ambientali e infettivi, sono all’origine della lenta estinzione alla quale, purtroppo, sono condannati questi rettili antichissimi che popolano mari e oceani da milioni di anni.
«Purtroppo è così - conferma Pasquale Salvemini - . Per questo continuo a ribadire che l’impegno di ciascun cittadino è fondamentale per garantire la sopravvivenza delle tartarughe marine e non solo. Non possiamo sempre aspettare che siano gli altri a fare. Per cominciare, possiamo evitare di gettare plastica o altri rifiuti in mare e, se ne troviamo, possiamo raccoglierli, portarli a riva e gettarli negli appositi contenitori. Un sacchetto di plastica o una bottiglia possono essere scambiati per cibo da delfini e tartarughe e causarne la morte, e in ogni caso la plastica non si scioglie, si spezzetta in microparticelle che, mescolate all'acqua, costituiscono un pericolo perenne. E questo è solo un esempio».