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Dopo la tragedia di Genova
Nico Aurora
17 Agosto 2018
TRANI - La tragedia del ponte Morandi, a Genova, potrebbe determinare una sorta di psicosi tale da far sembrare pericoloso anche quello che non è. Ma è pur vero che la Gazzetta, lo scorso maggio, aveva rappresentato i potenziali pericoli di alcuni viadotti della strada statale 16 bis, nel tratto compreso fra il ponte Lama e lo svincolo Trani sud, esposti ad un degrado visibile a occhio nudo.
Il giornale, oltre a documentare lo stato dei luoghi, aveva anche interpellato un addetto ai lavori, l’ingegner Nicola Dieta, il cui parere, sebbene rilasciato semplicemente a supporto del lavoro del cronista, lasciava presagire rischi che, a maggior ragione alla luce di quanto accaduto nel capoluogo ligure, sarebbe preferibile non correre rischi procedendo ad un intervento preventivo che sgombri il campo da ogni dubbio.
«Siamo in presenza delle classiche patologie che colpiscono il calcestruzzo armato, in stato di avanzamento comunque preoccupante, dovuto alla mancata manutenzione ordinaria dell’opera». Così scriveva il professionista, esprimendo un parere tecnico in merito al degrado di quei viadotti.
In particolare tre sottovia, realizzati per garantire i percorsi rurali, mostrano i segni del tempo con armature fin troppo in vista in punti, probabilmente, anche abbastanza delicati. All’occhio non certo competente del cronista sembrò di comprendere che, da tempo, non si procedesse ad una manutenzione ordinaria e straordinaria di quei manufatti, circostanza confermata ed illustrata dal professionista.
«Il ponte presenta ammaloramenti diffusi sulle spalle e localizzati in campata - spiega l’ingegner Dieta -, dovuti essenzialmente a fenomeni di infiltrazione e percolazione delle acque provenienti dalla superficie viaria sovrastante. L’acqua, infiltratasi nel tempo attraverso punti di discontinuità della struttura, quali giunti e punti di ancoraggio delle barriere bordo ponte, e attraverso il manto stradale, probabilmente in cattivo stato, ha portato alla formazione di vistosi quadri umidi, con conseguente corrosione delle armature, il cui aumento di volume ha causato l’espulsione del copriferro. Conseguenza immediata è stata la fuoriuscita delle armature, la cui esposizione diretta agli attacchi ambientali ne ha accelerato la corrosione, che nel tempo, vista la conseguente graduale diminuzione della sezione delle stesse, potrebbe provocare rilevanti problemi strutturali dell’intero impalcato».
Sempre secondo quanto osserva il professionista, «questi fenomeni hanno interessato punti localizzati della soletta della campata e dei traversi di ripartizione, ma, apparentemente, non ancora le travi. Sui muri andatori e sulle spalle, invece, gli effetti di tali fenomeni sono più diffusi: infatti si notano, oltre ferri di armatura esposti, anche depositi di sali e vistose macchie scure costituite da sottili strati di alghe e muffe, nonché fenomeni di esfoliazione. In questo caso il degrado è favorito, oltre che dalle infiltrazioni attraverso i giunti, anche e soprattutto dal ruscellamento delle acque piovane provenienti dalla superficie stradale, dalla probabile risalita capillare delle acque dai terrapieni costituenti le scarpate e dalla maggiore esposizione di queste parti della struttura alle piogge e ai fenomeni di gelo e disgelo».
Dal punto di vista strutturale, invece, «non si notano particolari problematiche, visto che gli appoggi delle travi sulle spalle del ponte appaiono garantiti e le travi stesse non sono ancora soggette a fenomeni di degrado rilevanti. Il ponte presenta, quindi - conclude l’ingegner Dieta -, le classiche patologie che colpiscono il calcestruzzo armato, in stato di avanzamento comunque preoccupante, dovuto alla mancata manutenzione ordinaria dell’opera».
Poiché quei cavalcavia appartengono ad un’arteria stradale importante e ad alto tasso di traffico veicolare, anche pesante, secondo il professionista «urgono immediati interventi di ripristino per preservare la staticità e l’integrità della struttura. Si dovrebbe intervenire tramite la rimozione del calcestruzzo ammalorato, la passivazione dei ferri corrosi con idonee malte cementizie anticorrosive, previa spazzolatura e/o sabbiatura degli stessi, ed il ripristino volumetrico del calcestruzzo rimosso».
Cosa è stato fatto, nel frattempo?
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