Bari, il Capodanno dei dimenticati: fra le vite al margine di Enziteto nulla è cambiato
Gli occhi invisibili dei clan, le case popolari occupate. Ma gli abitanti ripetono in modo estenuante che non vogliono essere marchiati, etichettati
La prima cosa da tenere a mente quando si entra ad Enziteto (ma qualcuno lo chiama San Pio) è che bisogna avere rispetto. La gente non ne può più di avere cucito addosso lo stigma del quartiere da evitare. La cosa che gli abitanti ripetono in modo estenuante è che non vogliono essere marchiati, etichettati. Sono stanchi di indossare un abito cucito su misura la cui stoffa è fatta di pregiudizi, rifiuti e discriminazione. «Siamo stanchi di essere ricordati solo per la morte della piccola Eleonora», dicono i alcuni residenti. Eleonora è la bambina che mori 20 anni fa di fame e di stenti, praticamente abbandonata a sé dai suoi genitori che oggi scontano una condanna all’ergastolo. Detto questo, nessuno nega che i problemi esistano.
A cominciare da distanza e margine lancinanti. Siamo qui, in questa periferia dimenticata, alla vigilia del nuovo anno. Ci accoglie il parroco, don Gianni De Robertis. Quando controlliamo che gli sportelli dell’auto siano chiusi con il telecomando, don Gianni intuisce e dice: «Qui non accade nulla. Non c’è un furto né un omicidio. Tutto è sotto controllo». Non li vedi ma ci sono, perché gli uomini dei clan continuano ad albergare da queste parti. In piazza Eleonora, circolare e deserta, regna invece un silenzio lunare. C’è un tenace albero di Natale e in lontananza il vociare di un gruppo di pensionati. Fu l’architetto Rocco Ferrari a progettare piazza Eleonora. È morto 3 anni fa. «Veniva spesso qui Ferrari e sempre con l’amarezza di vedere questa sua piazza che aveva sognato con un destino tutto diverso – dice don Gianni - l’architetto pensava ad una sorta di villaggio con spazi sociali che avrebbero posto le basi per una integrazione». Il parroco usa la metafora dell’albero, come diceva Ferrari. «Nei primi anni ha bisogno di cure. Il fatto di avere realizzato il progetto a 15 chilometri dalla città, di avere concentrato qui situazioni di precarietà non ha reso sostenibile la situazione».
Chi avrebbe dovuto prendersi cura dell’albero? «Le amministrazioni comunali succedutesi – dice pacato - hanno lasciato moltiplicare la presenza dell’illegalità simboleggiata dall’occupazione abusiva delle case di Arca Puglia, l’ex Iacp. Sono centinaia le famiglie che non hanno abitazione. Spesso devono trovare un tetto e allora occupano le case popolari». L’architetto aveva concepito una intera strada tappezzata da botteghe e locali. Inizialmente, fu così. Il problema è che non essendoci un reddito nessuno va a spendere e le attività chiudono. «I baresi giunti qui si sentono ancora residenti del Libertà o di Bari vecchia, non di Enziteto. Erano abituati a fare la spesa a Bari. Oltre a questo, chi ha preso il controllo del quartiere ha imposto le sue leggi».
È molto importante dare un’identità al luogo. Nei fatti, oggi c’è un negozio di alimentari, un bar, un ipermercato. Niente altro. Non una guardia medica. Non una stazione dei carabinieri. Non un ufficio anagrafe. Di questo la città deve farsi carico. Solitudini e paure crescono nei vuoti e nei silenzi. Nel vuoto dei servizi, della sfiducia, del tempo non più condiviso. Questa periferia è la ferita aperta di Bari. L’asilo nido comunale è una vera eccellenza. «Tenuto benissimo, la direttrice partecipa alla vita del quartiere». Anche perché ad Enziteto c’è un aumento delle nascite. In controtendenza rispetto all’Italia. «Qui è pieno di bambini. Io faccio tanti battesimi – dice don Gianni – ma la scuola media è stata chiusa, vandalizzata poi ristrutturata ed oggi ospita l’accademia del cinema. Il vescovo mi inviò qui non a curare le ferite ma a vedere i germogli. Non sono venuto a soccorrere ma a coltivare i germogli».