Giovedì 16 Ottobre 2025 | 23:22

Fondi Pnrr e autoriciclaggio, la maxi truffa del «business angel»: sequestri anche nel Barese e nella Bat

Fondi Pnrr e autoriciclaggio, la maxi truffa del «business angel»: sequestri anche nel Barese e nella Bat

 
Redazione online

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Fondi Pnrr e autoriciclaggio, la maxi truffa del «business angel»: sequestri anche nel Barese e nella Bat

Dagli accertamenti è emerso che quattro società avrebbero falsamente attestato, tra le altre cose, l’esistenza di una sede operativa nel Sud Italia (mai attiva)

Mercoledì 30 Luglio 2025, 10:31

10:33

La Polizia Economico-Finanziaria di Treviso ha effettuato un sequestro preventivo urgente emesso dalla Procura Europea di Venezia nei confronti di Flavio Zanarella, imprenditore padovano che si presentava come «business angel» e già sottoposto a indagine, e di altre cinque persone, responsabili a vario titolo di aver ottenuto illegalmente finanziamenti legati al Pnrr per 486mila euro e di averne autoriciclato una parte, per 183mila euro.

I provvedimenti sono stati eseguiti nei giorni scorsi nelle province di Treviso, Venezia, Padova, Brescia, Barletta-Andria-Trani e Bari. L’ipotesi di reato è di truffa e malversazione sui finanziamenti pubblici e riciclaggio. Zanarella, indagato non solo dalla Procura Europea ma anche da quella di Treviso, nei giorni scorsi era stato posto agli arresti domiciliari per le ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, all’autoriciclaggio e alle frodi e malversazioni su fondi nazionali, per un importo di circa 1,7 milioni gestiti da Simest a sostegno alla crescita delle imprese. Il filone d’indagine della Procura Europea riguarda invece fondi del Pnrr, sempre gestiti da Simest, che sarebbe riuscito a ottenere utilizzando il meccanismo già usato per accaparrarsi ingiustamente i fondi nazionali.

Le risorse dell’Unione Europea erano destinate a supportare le piccole e medie imprese e le imprese a media capitalizzazione favorendone la transizione digitale. Dagli accertamenti è emerso che quattro società avrebbero falsamente attestato l’esistenza di una sede operativa nel Sud Italia (mai attiva), una forte solidità aziendale (ma le società erano in liquidazione giudiziaria) e la volontà di realizzare i progetti previsti (mai iniziati). Le somme così distratte venivano reimpiegate per il pagamento di debiti o per l'arricchimento personale degli indagati.

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