BARI - «Non mi sono mosso tanto per l’elezione di Carmen Lorusso, quanto per inseguire un progetto politico. Per lo spessore che avevo sarebbe stata una umiliazione attivarmi per l’elezione di un semplice consigliere comunale». Giacomo Olivieri ha passato quasi un anno in una cella di massima sicurezza, ma quando ieri ha preso la parola davanti al gup Giuseppe De Salvatore è tornato, per un momento, il camaleonte che ancora dieci anni fa riempiva di fedelissimi sale d’albergo. Pronto a vendersi al miglior offerente, proprio come avrebbe fatto in quelle elezioni comunali del 2019 in cui - ha detto in sostanza - Olivieri si era schierato con il centrodestra per fare il trojan del centrosinistra in cui sarebbe tornato armi e bagagli pochi anni dopo.
«Ho capito di aver sbagliato e chiedo scusa alla città», ha detto Olivieri ammettendo i soldi, i buoni benzina e i regali fatti in cambio di voti. In quelle elezioni, secondo la Dda di Bari, Olivieri sarebbe sceso a patti con la mafia di Japigia e del San Paolo per far eleggere sua moglie Mari Lorusso. Ma la sua verità, la verità di un uomo passato dalle cene a Rosa Marina al carcere di Lanciano (e che ora rischia una condanna a 10 anni nel processo con il rito abbreviato insieme ad altri 107 imputati), è che lui non aveva bisogno di rivolgersi ai clan. Perché mentre raccattava voti per il centrodestra come sponsor di Pasquale Di Rella, il candidato scelto con le primarie per sfidare Antonio Decaro di cui era stato alleato fino a tre mesi prima, Olivieri sapeva già che sarebbe tornato: questo era il progetto politico. «Un giorno - ha raccontato rispondendo alle domande dei suoi avvocati, Gaetano e Luca Castellaneta - mi ha chiamato Emiliano con cui avevo un ottimo rapporto. Dopo che Di Rella aveva rotto con il centrosinistra, mi disse: devi fare in modo di farlo candidare con il centrodestra. Dobbiamo spaccare il centrodestra»...