BARI - Un tempo erano i luoghi più amati dai bambini. Maschietti e femminucce pregavano mamme e papà per «un regalino» e perdevano ore sognando tra bambole, supereroi e macchinine, in meravigliosi negozi di giocattoli. Difficile affermare se la magia oggi sia ancora viva, ma la certezza è che a Bari il luogo d’incanto per eccellenza per l’infanzia stia scomparendo. Da qualche anno, tali esercizi commerciali vivono una forte crisi dovuta a vari fattori.
In poco tempo hanno abbassato le saracinesche autentici riferimenti come Il «Regno dei Bimbi» di viale Einaudi, «Io bimbo» in via Oberdan, il «Disney store» in via Sparano, il leggendario «Carrassi», presente dal Dopoguerra in via Sagarriga Visconti. In questi giorni è temporaneamente chiuso pure «Io Bebè» di via Argiro (per un restyling). E prima ancora erano scomparsi veri regni del gioco come l’ambitissimo «Capozzi» (vicino la stazione centrale: una meta irrinunciabile per generazioni) o «Il Giocattolo», riferimento per chi abitava più in periferia. Così, in città sono rimasti meno di una decina di esercizi specializzati nel settore. Tra coloro che resistono, vantano tradizione «Okay Baby» (del 1964), Babylandia (1970) e la Città del Sole (primi anni 70).
Incide soprattutto il boom dei siti di vendita online: su Amazon in particolare si trova praticamente tutto, a prezzi talvolta inferiori e con un semplice click. Pesa anche la riduzione del periodo del gioco: ormai già attorno ai dieci anni, dominano i giochi elettronici e poco cambia se siano disponibili sui smartphone, tablet o console. La verità è che il giocattolo «fisico» perde di appeal in età sempre più precoci.
Due le regole da seguire a giudizio degli esercenti per non andare in default. La prima è essere oculati nell’effettuare gli ordini: i bambini ormai si recano nei negozi con un «obiettivo» ben preciso. L’idea di scegliere tra diverse opzioni tramonta sempre più. Pertanto, il rischio è che i giocattolai si appesantiscano di materiale pur di soddisfare ogni esigenza della clientela, senza poi riuscire a vendere la merce. Meglio, quindi, ascoltare i desideri espressi dai bimbi e magari ordinare i pezzi necessari sul momento.
Inoltre, è fondamentale non uniformarsi, provando a creare uno stile personale. Gli articoli che vanno per la maggiore non devono mancare, ma tentare di specializzarsi su un tema particolare può essere d’aiuto. C’è chi punta sui giochi da tavolo ad esempio oppure sui peluche o, ancora, su ambienti da creare e allestire: stazioni, fattorie, zoo. O, ancora, chi sceglie un target completamente differente azzerando la tecnologia e premiando la manualità, la creatività e l’ingegno.
«Resistiamo perché siamo un po’ bambini anche noi», è il parere unanime di chi continua a credere in tale settore. «Sarebbe troppo facile darla vinta al commercio on line, al tutto e subito. Comprare un giocattolo deve essere soprattutto un momento di condivisione tra genitori e figli: un frangente di tenerezza per gratificare un bimbo o per dargli un piccolo premio. Sarebbe imperdonabile terminare una tradizione secolare. Nell’epoca del consumismo totale, speriamo che le famiglie riescano a ritrovare la gioia di mantenere emozioni che sembrano banali, ma in realtà restano indimenticabili».