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#Southvirus: a Bari le «signore delle orecchiette» sfidano la pandemia e la paura

 
Fulvio Colucci

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Fulvio Colucci

Bari, le orecchiette sfidano la pandemia e la paura. Nunzia con la mascherina

Ecco Nunzia e le altre immortalate al tavoliere con guanti e mascherina dalla fotografa Carmela Lovero

Lunedì 11 Maggio 2020, 10:17

La forza delle immagini al tempo del coronavirus. È l’essenza del progetto «#Southvirus» concepito dalla fotografa Carmela Lovero, diffuso sul web attraverso i social Facebook e Instagram.

Partiamo dal nome.
«E dalla narrazione di eventi e forma degli eventi al sud. Una scrittura per immagini da tutti i sud del mondo. Ecco perché ho lanciato l’hashtag. Raccontiamo le misure di sicurezza contro il contagio diversamente, attraverso il lavoro di chi prepara cibi della tradizione barese: dalle orecchiette alla focaccia. Nelle foto e nelle didascalie i sud, attraverso Bari vecchia luogo di lettura dei fatti, luogo della mia identità. Da quando ci sono arrivata a fine anni ‘90 aprendo uno studio fotografico».

Perché i cibi?
«Parlano di noi, della nostra identità. Mi sono chiesta come le persone che lo fanno da sempre, che sono simbolo di questo lavoro come Nunzia Caputo».

La ragione delle orecchiette.
«Ecco. Come si adattano alla pandemia, come si mettono in sicurezza? Come tranquillizzano le ansie di chi vuole continuare a mangiarle? La pandemia impone di recuperare la fiducia reciproca: di chi produce e vende e di chi compra. Immortalare la signora Nunzia mentre prepara le orecchiette con guanti e mascherina svela una dinamica reciproca: sicurezza di chi propone e di chi acquista. Facciamo passare dal cibo, dalle abitudini, dall’identità, un comportamento che dovremo seguire, con cautela, per mesi. Tanto vale entrare in questa dimensione e poi portarcela in futuro come abitudine a creare in sicurezza prodotti migliori».

Ricorda la polemica sulle orecchiette igienicamente poco sicure? Finì sul New York Times. Sembra essersi avverata una profezia, più per forza che per amore.
«Di orecchiette non è mai morto nessuno. Adesso il discorso sicurezza coinvolge tutte le attività di produzione. Si può prendere lo spunto per un salto di qualità imprenditoriale di diverse attività. Se nel mondo c’è bisogno di nuove certezze, le orecchiette, il pane o la focaccia prodotti a Bari vecchia diventano icone di questa nuova sicurezza. Perciò chi consuma e produce si deve incontrare sul terreno della fiducia. Scriviamo, in questo momento, comportamenti nuovi. Perché condividiamo un destino globale e la forza della creatività può soccorrere questa urgenza».

E la forza creativa della fotografia può essere unica.
«La foto è la mia scrittura, nasco come fotografa di reportage sociale. Sono stata nel Chapas durante la rivoluzione zapatista. Fotografare la gente è il mio “vizio”. Punto molto sul realismo, il reportage è il racconto della vita, del quotidiano, delle cose che accadono, delle azioni. Viene associato alla guerra, ma il racconto passa attraverso la vita e, nel frangente che viviamo, passa attraverso il virus. Questo fa la differenza tra il racconto fotografico, il reportage, che sono la mia cifra, e la street photografy. Il reportage non è didascalia; il reportage è il racconto».

Ha avvertito la solitudine delle pastaie senza più turisti, nel pieno della pandemia?
«Più che solitudine ho avvertito sconforto, ma mi è piaciuto molto sentire rimarcare da uno dei parenti che, nel momento in cui fotografavo, erano quattro generazioni riunite intorno ad un tavolo con in testa una sola idea: far andare avanti il quotidiano, le orecchiette, il loro lavoro, la loro passione. Alessia, la nipote di Nunzia, fa le orecchiette. Ed è una dote trasmessa, nel reportage sulle orecchiette ci sono altre immagini (quelle pubblicate a corredo di questo articolo, ndr) in cui si vede il nucleo al lavoro. Nunzia vuol dimenticare questo momento ed è comprensibile. Ma io dico: traiamo un insegnamento per il futuro. E credo che qualcosa di questo mio ragionamento sia andato a segno. Sa, il genere umano è appassionante».

Prossime foto?
«Focaccia, sgagliozze, pizza, panino, il lavoro passerà da queste nuove icone per raccontare l’atteggiamento delle persone di Bari vecchia. Ma è un invito a tutti i sud del mondo. Partendo da Bari vecchia come luogo identitario. “Southvirus” vuol dare risposte attraverso un progetto aperto sui social network. Non solo attraverso le immagini, ma anche con le parole. Un’amica ha messo indicazioni sulla cucina in quarantena. Io ho scritto anche un racconto con personaggi di Bari vecchia».

Ci attendiamo una mostra fotografica.
«Non so. Di certo preparo una sorpresa».

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