BARI - Eroe a fatturazione. Un co-co-co, collaboratore coordinato in rapporto continuativo (appunto co-co-co) del servizio sanitario con gli stessi doveri, compiti e responsabilità dei suoi colleghi, garantiti dal contratto collettivo nazionale del lavoro per la sanità pubblica, ma senza le loro stesse tutele.
Una fattispecie che diventa emergenza sotto la minaccia del Coronavirus da sindrome respiratoria acuta grave. Cosimo Giovanni Spinelli, 47 anni, due figli, è uno dei pochi infermieri in Italia parasubordinato «a tempo indeterminato» con tanto di partita Iva. Nei giorni della pandemia, per chi indossa il camice bianco, avere molte meno salvaguardie, sul piano del regime giuridico, può essere enormemente più pericoloso.
La situazione dell’infermiere Spinelli, precario da quindici anni nell’Azienda sanitaria Bari è alquanto anomala, ancora di più ora che medici, infermieri, tecnici, portantini e operatori socio-sanitari sono come soldati al fronte, i più esposti ad una infezione che ha accesso i suoi focali all’interno delle strutture sanitarie. Il suo primo contratto di collaborazione che lo collocava all’interno dell’infermeria della Casa circondariale di Bari, come già detto risale alla fine del 2004.
Al secondo rinnovo da lavoratore «co-co-co a tempo determinato», è diventato collaboratore «a tempo indeterminato». Oggi, dopo tre lustri, continua ad essere funzionalmente inserito nell’organizzazione della stessa Asl Ba, non più nell’istituto di pena ma all’interno del Ser.D del territorio Putignano-Conversano-Monopoli, il servizio pubblico per le dipendenze patologiche (ex Sert) che svolge attività di prevenzione primaria, cura, prevenzione delle patologie correlate, riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo. Tutto ciò in collaborazione e sinergia con le comunità terapeutiche, le amministrazioni comunali e il volontariato.
Il suo lavoro non differisce da quello degli altri colleghi infermieri: stessi orari di lavoro, stesse modalità di ingresso e uscita, stesso ordine di servizio, stessi turni di riposo e di ferie; stessi permessi. Un lavoratore subordinato nella sostanza ma non nella forma. Molte meno tutele che pesano soprattutto in questi giorni di pandemia. La sua odissea di precario, di questo passo, potrebbe non finire mai. «Se un domani- spiega Spinelli - la Asl volesse decidere di interrompere il rapporto di lavoro, io non potrei far valere il diritto ad essere reintegrato. Mi spaventano in questo momento di emergenza le minori garanzie sul piano della copertura sanitaria.
Senza parlare poi del mio futuro pensionistico, del Tfr che non ci sarebbe. Sono anni che chiedo la conversione del mio rapporto di lavoro in subordinato ma inutilmente». La sua esposizione al pericolo infezione è ancora maggiore considerando il particolare tipo di utenza, fragile e a rischio, che ogni giorno accede al servizio pubblico per le dipendenze patologiche. Rappresentato dagli avvocati Michele Ficco e Claudia Sportelli, l’infermiere ha aperto una vertenza presentando istanza formale alla Asl ai fini del riconoscimento dopo 15 anni del rapporto di lavoro subordinato. Non ci sono state per il momento risposte formali.
L’orientamento della Asl Ba da quello che si è saputo andrebbe in una direzione diversa da quella sperata dal Spinelli. Secondo l’interpretazione della azienda, stabilizzazioni pur previste dal decreto Madia si applicherebbero soltanto ai lavoratori subordinati «a tempo determinato» e non alle collaborazioni che dovrebbero attendere l'indizione di un concorso ad hoc che nessuno, in tutti questi anni, ha voluto fare. E pensando che la minaccia rappresentata dalla Sars-CoV-2 non uscirà dalle nostre vite per molti mesi ancora crescono le probabilità di rischio per chi è più esposto.