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Le baby gang figlie
dei modelli sbagliati

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Le baby gang figliedei modelli sbagliati

Sabato 20 Gennaio 2018, 16:41

Impietosa, l’Ansa ha battuto: «Baby gang, altri due minori denunciati a Napoli». E poco dopo: «Danni al centro per bambini disabili, segnalati 7 minorenni nel Potentino». Solo per restare alla giornata di ieri. Ma basta spostarsi di poco con la memoria per ricordare aggressioni e ferimenti con minorenni protagonisti. Tanto che da più parti si torna a parlare di modificare le norme penali sulla imputabilità. In tempo di campagna elettorale è un tema che potrebbe avere facile presa. Ma come spesso accade la soluzione apparentemente più facile è anche la più inefficace. Occorre invece chiedersi che cosa sta succedendo ai nostri ragazzi, quelli compresi nella fascia 13-15 anni, età già di per sé difficile e oggi diventata critica.

Le famiglie sono cambiate, la scuola è cambiata, i rapporti sociali sono cambiati: quali sono i punti di riferimento di questi ragazzi? E non si dica che il problema è solo a Napoli, perché tanto sono tutti figli di camorristi che vogliono ripetere la carriera dei padri.

I cosiddetti fenomeni di «bullismo» sono diffusi in tutta Italia. Solo che alcuni trovano più dignità mediatica di altri e finiscono così sui giornali o animano i talk show.

C’erano una volta una serie di «agenzie» che realizzavano una vera e propria rete di protezione attorno alla personalità dell’adolescente. A cominciare dalla famiglia e dai suoi riti rassicuranti. C’era poi la scuola, oggi trasformata in un non-luogo, nel senso che non si capisce più che cosa sia, dove molti ragazzi vanno con la paura di essere molestati, taglieggiati, derisi, insultati. La serie infinita di riforme ha tolto alla scuola ogni identità formativa ed educativa, con docenti sempre più esposti ai venti delle mode e della smania di cambiare.

Sono poi quasi del tutto scomparse quelle altre agenzie che, seppure sotto la forma dello svago, contribuivano a creare uno sviluppo armonico dei ragazzi. Non ci sono più le parrocchie e le associazioni culturali. Anche lo sport è inquinato dalla esagerata competitività. Che cosa resta? Ben poco. Rari fortunati possono contare su famiglie «all’antica», cioè allargate a nonni e zii, che si rivelano preziosi supplenti dei genitori. E poi ci sono i media: la tv e Internet, quest’ultima soprattutto come social network. Attraverso tali strumenti passano oggi i modelli educativi più allettanti, che plasmano a 360 gradi la personalità dei minori, soprattutto se inseriti in contesti difficili, se troppo soli, se troppo fragili. Sarebbe stupido sostenere, come nella polemica montata in queste ultime settimane, che la responsabilità delle aggressioni delle «baby gang» a Napoli è frutto della serie televisiva di Gomorra.

Ma sarebbe altrettanto stupido sostenere che è ininfluente. Nella serie tv non ci sono personaggi positivi: aver rotto l’antico dualismo cinematografico del buono-cattivo è stato forse il segreto del successo della fiction in salsa criminale, ma anche l’enorme responsabilità nei confronti dei minori, i quali hanno fisiologicamente una forte tendenza a imitare, a riprodurre i comportamenti di coloro che vedono come modelli. Si spiegano così i tatuaggi, il taglio dei capelli, il linguaggio di tanti minorenni che si sforzano di assomigliare ai personaggi televisivi. Quando a questa coazione a ripetere si associano altri fattori (contesto familiare, quartieri degradati, contiguità con ambienti criminali) allora accade il peggio. Soprattutto se i luoghi e i fatti al centro della fiction sono proprio quelli della realtà vissuta ogni giorno. L’impatto su una personalità così permeabile come quella degli adolescenti risulta devastante.

L’altro canale è Internet. Incontrollato e incontrollabile. Dai siti che riescono ad adescare minorenni ingenui, sprovveduti o fragili, fino alle chat, al bullismo online. È questo un fronte sul quale i genitori sono completamente disarmati, soprattutto se non dialogano con i figli. Sulla Rete c’è un mondo parallelo in cui per gli adulti è difficile entrare. È un mondo che non solo presenta situazioni di rischio, ma che fa circolare in maniera ossessiva e penetrante modelli sbagliati. Sotto il profilo culturale, della gestione del corpo, dell’uso del danaro, del rispetto degli altri. Se una volta la moda riguardava solo il jeans o le scarpe, oggi coinvolge anche i modi di pensare: quanti sono gli adolescenti che giocano a fare i nazisti senza sapere che cosa è stato il nazismo e che cosa potrebbe significare? Per non parlare dell’educazione sessuale. Non è un caso se, proprio nelle fasce dei giovanissimi, siano in aumento i tumori della bocca. Perché grazie alla rete circolano con grande facilità film porno che in molti provano a riprodurre nella realtà. Ne nasce il fenomeno conseguente dei ricatti sessuali online, con la minaccia di mettere in circolazione immagini compromettenti. Qualcuno non ha retto e si è ucciso.

E anche a voler prendere in esame i modelli «buoni» proposti dalla Rete non c’è da entusiasmarsi. Perché sono senza spessore, giacché la Rete di suo non è in grado di dare profondità agli eventi che si sforza di raccontare. Esattamente come la televisione, che trasforma in spettacolo tutto ciò che tocca, anche la peggiore tragedia. Non caso i format dei programmi tv contengono spesso la parola show: realityshow, talkshow, ecc.

Che fare? Tanto. Si può fare tanto, a cominciare dalla consapevolezza che le baby gang non sono un flagello biblico. Rendersi conto che se un ragazzo accoltella un coetaneo non è tanto un problema di polizia. Ma è soprattutto una questione di società che va disgregandosi, di individui che vivono in solitudine la propria esistenza. Non sarà un caso se la solitudine sta diventando una questione politica, di cui si occupano ormai leggi e ministeri. Solo che non è la solitudine dei vecchi e degli emarginati, cui siamo un po’ abituati, ma quella dei ragazzini che abbiamo intorno. A Napoli, come a Potenza o a Verona.
Michele Partipilo

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